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Le emergenze planetarie non sono «sovraniste»

 
Sergio Lorusso

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Sergio Lorusso

I disastri ambientali feriscono – spesso in maniera catastrofica e irreversibile – uomini, cose e territori

Mercoledì 13 Marzo 2019, 15:36

Di alcuni temi si parla troppo, di altri troppo poco. E non è un caso, forse, che sia stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ricordare con forza la crisi climatica globale prossima ventura, che potrebbe essere più imminente di quanto immaginiamo. Argomento che non costituisce un serbatoio di voti – e dunque non è affatto esplorato da governanti e politici – ma che coinvolge tutti e dunque (in teoria) dovrebbe far parte dell’agenda politica di chi ci rappresenta. Oltre ad essere assai più interessante della danza binaria Tav sì-Tav no. I disastri ambientali feriscono – spesso in maniera catastrofica e irreversibile – uomini, cose e territori.

Ma limitarsi ad evocare la straordinarietà dei fatti che si manifestano con prepotenza «per giustificare noncuranza verso una visione e progetti di più lungo periodo, è un incauto esercizio da sprovveduti». Parole nette, quelle di Mattarella, che ci fanno comprendere come la natura, pur non essendo addomesticabile, possa essere governata con interventi in grado, se non di evitare, di sminuire gli effetti dei mutamenti climatici, che si fanno sempre più bruschi anche a causa di politiche dissennate che violentano e deturpano il territorio ai fini di sfruttamento commerciale e di profitto.

Non si è solo sprovveduti, però. Vi sono delle responsabilità – pensiamo al mancato rispetto della legislazione antisismica – che non possono essere dimenticate e che non devono essere chiamate in causa solo nel momento in cui si verifica l’evento catastrofico. Occorre prevenzione, piuttosto che proclami subito dopo il disastro, magari fatti in maniera ampollosa in una vetrina approntata per l’occasione. Occorre un’assunzione di responsabilità da parte di chi ci governa, che evitino le tante vittime e stragi annunciate di cui il nostro Paese ha memoria. Più che la celebrazione di chi è caduto suo malgrado nella rete implacabile e impietosa di alluvioni, terremoti, ponti crollati, frane e dighe spazzate via, che quasi sempre costituisce una variazione sul tema del format “politici in vetrina”, è necessario un serio impegno per migliorare il rapporto con un territorio fragile qual è quello dell’Italia. Con la natura ci si confronta, e oggi abbiamo gli strumenti per non soccombere “a prescindere”. Equilibri secolari sono stati violati – si pensi alla cementificazione selvaggia che ha deturpato tante splendide località del nostro Paese – e occorre in primo luogo tutelare quelle zone che non hanno subito ancora l’aggressione del dio denaro.
E non si tratta di un problema soltanto italiano.
Il Presidente Mattarella ha ricordato che, proprio lo scorso anno, alcuni Capi di Stato europei hanno sottoscritto una sollecitazione che mette in guardia dall’incipiente crisi climatica globale, «per scongiurare la quale» – ha detto Mattarella – «occorrono misure concordate a livello globale».
È questo il punto.
Il tema del clima è un tema universale. Impone e presuppone una visione globale, è espressione di una globalizzazione. Non in senso meramente economico (anche se le implicazioni sono ovvie, guardando allo sfruttamento del territorio), ma anche sociale e culturale. Una cultura unitaria del rispetto della natura, nella quale e grazie alla quale viviamo, contribuirebbe senza dubbio a contrastare la crisi climatica mondiale.
Il clima, insomma, non è sovranista.

I confini tra Stati sono linee tracciate sulla carta geografica dall’uomo, talora coincidono con particolari conformazioni del territorio (fiumi, monti, etc.). La natura, come ci insegnano gli esperti del settore, non è fatta a compartimenti stagni ma ogni sua parte comunica con le altre parti, condizionandole ed essendo condizionate da queste.
I cultori del sovranismo, l’ideologia del momento, dovranno rassegnarsi. Su questo punto nulla può essere fatto in chiave esclusivamente nazionale. Non si possono erigere muri e barriere per fermare perturbazioni, cicloni e tornado. Non si possono chiudere i porti per impedire maremoti e tsunami.
E poi avere contezza delle relazioni che intercorrono tra i fenomeni naturali potrebbe aiutare, forse, ad accrescere la consapevolezza della dimensione sociale dell’umanità, oggi sempre più affievolita da un egoismo imperante che considera il prossimo solo uno strumento per la realizzazione dei propri obiettivi o un cestino nel quale riversare le proprie frustrazioni, invidie e ostilità.
Gli sforzi comuni compiuti a livello internazionale da numerose conferenze non hanno, fino ad ora, portato a risultati determinanti. Ecco perché è auspicabile un impegno a livello intergovernativo, in una dimensione sovranazionale, che metta da parte rivalità e ideologie, interessi di parte, schieramenti pregiudiziali e opachi nazionalismi, perché il mondo è un bene di tutti, al pari del suo clima. E va tutelato.

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