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Il tam tam forzato sulle elezioni anticipate

 
Francesco Giorgino

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Francesco Giorgino

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Il M5S riuscirà a raggiungere nell’isola il venti per cento indicato da più parti come la soglia minima da superare per attenuare la sconfitta dopo la performance negativa in Abruzzo e in vista del delicato appuntamento per le europee?

Lunedì 25 Febbraio 2019, 14:30

Fra poche ore conosceremo i dati ufficiali delle elezioni in Sardegna. Il favorito della vigilia era il senatore Solinas, sostenuto da Lega e partito sardo d’azione. C’è tuttavia grande attenzione ad un’altra questione, più facilmente riassumibile con un interrogativo: il M5S riuscirà a raggiungere nell’isola il venti per cento indicato da più parti come la soglia minima da superare per attenuare la sconfitta dopo la performance negativa in Abruzzo e in vista del delicato appuntamento per le europee? Il venti per cento sarebbe infatti meno della metà di quel quarantadue per cento raccolto alle politiche dello scorso anno.

Ma rappresenta anche una quota parte in grado di consentire ai pentastellati di contrastare quella narrazione pubblica costruita sul presupposto della crescente irrilevanza dei Cinque Stelle a fronte dell’inarrestabile successo di Salvini.
Chi non ama l’esecutivo Conte usa la leva della diversità dei due partiti contraenti il patto di governo, quella delle divergenze programmatiche, attribuisce enfasi più alle questioni che dividono che a quelle che uniscono. Chi non ama l’esecutivo Conte sfrutta l’argomento della coesistenza nell’ormai variegato universo pentastellato di posizioni antitetiche e poco conciliabili tra loro, come per esempio quelle riconducibili a governisti e movimentisti. Legittimo farlo e a tratti persino doveroso, volendo interpretare la complessità dell’attuale scenario politico e considerando il valore aggiunto della dialettica democratica, cosa ben diversa dal pensiero unico ma anche dalla logica del conflitto. Occorre però prestare attenzione anche agli effetti di questo approccio. Le elezioni europee rappresentano una cartina di tornasole utile a comprendere molte delle vicende che animano in questi giorni il dibattito pubblico, ma questa consapevolezza non autorizza a considerare come molto probabile la prospettiva di imminente o comunque nuove elezioni politiche. Una cosa infatti è la possibilità che questo accada, altra è la probabilità. Prospettiva quest’ultima in totale contrasto con le dichiarazioni ufficiali rese dai due vice premier, nonché leader politici, Matteo Salvini e Luigi Di Maio e dal presidente del Consiglio. Tutti e tre hanno ribadito che l’orizzonte temporale dell’esecutivo è se non proprio a lungo quanto meno a medio termine. Il ministro Luciano Fontana ha consegnato all’attenzione di analisti ed editorialisti una dichiarazione che vale la pena di ricordare: “il voto di maggio serve a cambiare l’Europa e non l’Italia”. E Salvini: “pura fantascienza il voto anticipato”. Eppure l’agenzia di rating Fitch, con una capacità predittiva forse ardita ha ipotizzato elezioni dopo le europee ponendo questo ragionamento a fondamento del teorema dell’instabilità politica del nostro Paese. È legittimo perciò chiedersi cosa produca più instabilità, se la rappresentazione delle diverse posizioni identitarie in seno alla maggioranza o il fatto che, nonostante le smentite ufficiali dei rappresentanti di partito, si continui quasi tutti i giorni a parlare di precarietà del quadro politico e, di converso, anche di quello istituzionale? Intendiamoci. La politica economica del governo gialloverde ha bisogno di correttivi per evitare che la recessione da tecnica diventi economica e per far sì che si creino le condizioni per uno scenario differente, almeno relativamente ai fattori endogeni. Per quelli esogeni pesa la situazione difficile nei mercati di sbocco delle nostre imprese, almeno di quelle più capaci di esportare.

Occorre accompagnare alle misure su reddito di cittadinanza e quota cento investimenti in materia di infrastrutture, interventi sistemici e realmente espansivi, scelte mirate a ridurre la pressione fiscale per favorire più consumi, più crescita, più innovazione e più occupazione. Farebbe bene il Governo a riconoscere questa necessità, come spesso sollecita a fare Giorgetti, tracciando così la road map dei prossimi mesi. In tal senso appare un’operazione molto rischiosa, almeno ai fini della valutazione di ciò che è giusto ed opportuno fare e di ciò che non lo è, il prescindere da un consenso così ampio nell’opinione pubblica, da una legittimazione popolare molto vasta e da una agenda setting che, gioco forza, risente della centralità di temi che hanno garantito finora a Cinque Stelle e Lega di conquistare e consolidare posizioni di leadership, formale e sostanziale. Confondere le divergenze di vedute tra i due partiti in ordine alle soluzioni da adottare di fronte ad alcuni dei dossier con l’instabilità, così come prescindere dall’orientamento generalizzato degli elettori non credo convenga né all’Italia, né agli italiani. Indipendentemente dalle loro idee politiche. Più giusto sarebbe concentrarsi su quello che potrebbe accadere se cambiassero gli equilibri interni alla maggioranza, con la Lega cioè primo partito nazionale e il M5S al secondo posto. Alcune domande si rendono necessarie. Uno scenario del genere porterebbe automaticamente ad elezioni anticipate? Che ruolo avrebbe di fronte a questa ipotesi il Presidente della Repubblica che, non dimentichiamolo, ha tra le sue prerogative quella di decidere se far concludere anticipatamente o no la legislatura, ma solo in presenza del venir meno della fiducia del Parlamento al Governo? E cosa accadrebbe al Paese in questa eventualità? Sarebbe questa la prospettiva di maggiore stabilità? Non sottovalutiamo il fatto che i mercati, dai quali dipende l’andamento del famigerato spread, reagiscono non tanto alla realtà così com’è, quanto alla realtà così come viene rappresentata. Eccedere in uno storytelling negativo, almeno nella sfera pubblica mediata, significherebbe rendere le dichiarazioni istituzionali (quelle rese in Parlamento e quelle affidate ai media) carta straccia.

Sarebbe auspicabile che più che discutere di elezioni anticipate, soffiando sul fuoco della instabilità, ci fosse tra maggioranza e opposizione un confronto nel merito delle questioni più delicate per rendere le scelte a maggior impatto economico compatibili con il perseguimento dell’obiettivo primario della crescita. Il principio di realtà in politica suggerisce che ci si concentri su ciò che sta accadendo e su ciò che è probabile accada, con l’intento di correggere le distorsioni evidenti, più che alimentare dibattiti su ciò che si vorrebbe accadesse. Indebolire l’intero sistema non conviene a nessuno.

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