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Un favore ai criminali un’offesa alla dignità

 
Carmela Formicola

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Carmela Formicola

Palagiustizia

Dal primo settembre, salvo provvidenziali colpi di scena, la Procura di Bari dovrà lasciare l'attuale sede, dichiarata inagibile, e trasferirsi in un edificio di fortuna. Ma sarà sempre meglio della tendopoli

Giovedì 23 Agosto 2018, 16:54

BARI - Non siamo alla paralisi, siamo al de profundis. I magistrati baresi stanno per gettare la spugna: «In quelle condizioni non saremo più in grado di fare indagini». Dal primo settembre, salvo provvidenziali colpi di scena, la Procura di Bari dovrà lasciare l'attuale sede, dichiarata inagibile, e trasferirsi in un edificio di fortuna. Ma sarà sempre meglio della tendopoli le cui cartoline hanno fatto il giro d’Italia, con tutto il danno all’immagine che la comunità cittadina nella sua interezza ha subito. Mah... Va bene l’arte di arrangiarsi, come il pover’uomo che si adatta a vivere nella buca provocata da una delle bombe che gli ha distrutto la casa (l’Oro di Napoli, Giuseppe Marotta), ma qui stiamo andando ben oltre le regole e la dignità. 

Ci sono un paio di numeri eloquenti che proiettano la giustizia barese in una dimensione surreale, al pari delle udienze celebrate nel camping: persone e oggetti fin qui distribuiti su 4.800 metri quadrati dovranno stiparsi in 1.050. Un’acrobazia che sfida non tanto il buon senso quanto la legge fisica dell’impenetrabilità dei corpi. Così i magistrati hanno scritto al presidente Mattarella. Una lettera drammatica, si legge tra l’altro: «l’Ufficio... non potrà garantire indagini e processi...». Boss mafiosi, assassini, stupratori, criminali incalliti sperano dunque che la giustizia barese (che da alcuni mesi lavora per ovvi motivi a lento regime) si blocchi definitivamente. Una bella pioggia di prescrizioni e chi s’è visto s’è visto, un messaggio inquietante in un Paese dove la certezza della pena è già un’incertezza.

L’antefatto è noto a tutti. Il grande palazzo di via Nazariantz, dove dal 2001 viene spostata tutta la macchina della giustizia barese, nella primavera del 2018 viene dichiarato inagibile. Che fosse pericoloso, pieno di crepe, che ci piovesse dentro, che Ezechiele lupo con una soffiata lo avrebbe potuto buttare giù, in realtà, lo si sapeva esattamente dal 2001. Ma l’emergenza è esplosa solo qualche mese fa. Entro il 31 agosto, pertanto, il palazzo dovrà essere definitivamente sgomberato. Il sindaco Antonio Decaro aveva chiesto al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di dichiarare lo stato d’emergenza, in modo che saltando i tempi ordinari e biblici della burocrazia, si potesse trovare una sede alternativa «efficace ed efficiente», come si suol dire. Il neoministro cinquestelle, allergico alle procedure d’emergenza tanto care a certi governi preesistenti, ha viceversa spiegato che si poteva procedere per canali ordinari. Risultato: tra una settimana un centinaio di persone (magistrati e personale amministrativo al lavoro in via Nazariantz) dovranno andarsene da qualche altra parte. Dove? Nel famoso immobile di 1.050 metri quadrati.

E qui il dramma lascia il posto alla commedia. Nella lettera inviata a Mattarella, i magistrati prefigurano la propria vita nella nuova sede. Un esempio: tre o quattro pubblici ministeri dovranno coabitare in una stanza di 20 metri quadrati. «Non sarà possibile, ad esempio, ricevere avvocati, effettuare interrogatori con la dovuta riservatezza, dare ascolto alle persone offese, tenere riunioni di coordinamento investigativo con le forze dell’ordine», scrivono, tra l’altro le toghe ridotte alla convivenza come i poveri cinesi negli opifici abusivi.

Nei giorni scorsi, però, una nuova perizia ha decretato che l’emergenza crollo del palazzo di via Nazariantz è in qualche modo mitigata. Miracolo? No, è bastato spostare trecento armadi di ferro pieni zeppi di carte e fascicoli dai piani alti a quello interrato. Il carico si è dunque alleggerito di 50 tonnellate, il che non significa che si possa tornare alla normalità ma che almeno si possono prorogare i tempi dell’ultimatum del 31 agosto. Chi dovrebbe concedere la proroga? Il Comune, cioè il sindaco, che tuttavia deve essere autorizzato dal Ministero. Così Decaro ha lanciato l’appello a Bonafede che ieri ha telefonato per dire: domani (cioè oggi) facciamo il punto. Ma non suoni come il cipenseròdomani di Rossella O’Hara. Oggettivamente la vicenda della giustizia barese si è fatta così intricata da rendere impraticabile quasi ogni soluzione, almeno in tempi stretti.

Al di là delle indagini, dei processi, della negata domanda di giustizia, a rischio è la dignità. La dignità del Terzo Potere dello Stato (quello giudiziario), la dignità dei lavoratori, degli avvocati, delle migliaia di vittime di reati più o meno gravi, dell’indagato in attesa che gli venga riconosciuta l’innocenza, di una società che rischia di smarrire l’impianto fondamentale dei diritti. La posta in gioco è altissima. Non c’è un altro domani da far passare.

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