Taranto - Diciassette persone sono finite in carcere, questa mattina, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, estorsione con metodo mafioso e detenzione e porto illegale di armi, anche da guerra.
La Polizia di Stato di Taranto ha proceduto agli arresti in carcere disposti dal su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Delle 17 persone raggiunte dall'ordinanza di carcerazione, 2 sono ancora in stato di irreperibilità,
Tutti e 17 sono ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dall’avere la disponibilità di armi, detenzione illecita di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi da fuoco, anche da guerra, con relativo munizionamento, estorsione aggravata dal metodo mafioso, ricettazione furto e minaccia.
Risultano indagate per gli stessi reati, anche altre otto persone, tra cui una donna.
Le indagini dei poliziotti della Squadra Mobile sono iniziate nel 2017. Grazie a pedinamenti e intercettazioni la polizia ha scoperto - questo emerge dal'ordinanza - un'articolata e verticistica organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti che aveva come base principale il Quartiere Paolo Sesto, con ramificazioni nei Quartieri Tamburi e Città Vecchia.
Stando alle accuse, a capo del sodalizio criminale ci sarebbe un pregiudicato, detto «Giappone» il quale, proprio per il suo curriculum criminale, avrebbe assunto il comando del traffico di droga. Sempre lui avrebbe tenuto i contatti con i fornitori della droga e avrebbe avuto la supervisione delle attività criminali con le quali reperivano il denaro necessario all'acquisto di ingenti quantitativi di cocaina, eroina ed hashish.
A dare supporto all'associazione altri uomini di massima fiducia di «Giappone» che si occupavano del ritiro delle sostanze stupefacenti dagli abituali fornitori e della successiva e capillare distribuzione nei quartieri della città. Li affiancava un'altra persona che aveva anche il compito di procacciare nuova clientela e di spacciare al dettaglio lo stupefacente acquistato.
Le indagini raccontano di «un vincolo associativo di natura permanente tra gli arrestati, qualificato da un’organizzazione evoluta e strutturata gerarchicamente, destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei delitti programmati e connotata dal progetto criminoso volto al compimento di una serie di delitti».
Il giro di affari sarebbe stato di centinaia di migliaia di euro. L'organizzazione aveva a sua disposizione anche una notevole disponibilità di armi, spesso clandestine, con relativo munizionamento, tra cui una mitraglietta Skorpion.
Il presunto capo, «Giappone», temendo di essere oggetto delle attenzioni delle Forze di Polizia, avrebbe usato ogni tipo di precauzione per evitare di essere scoperto. Al telefono sarebbe stato ben attento a non lasciarsi sfuggire nulla di compromettente, inoltre avrebbe cambiato frequentemente le vetture da lui utilizzate. Il suo ego pare fosse smisurato: coi suoi sodali «si vantava di essere ormai uno dei pochi rimasti ai vertici della malavita tarantina».
Usava anche il plurale maiestatis «continuando a declinare il noi parlando di se stesso, e si vantava di una ormai consolidata egemonia criminale sul territorio, tanto che era sufficiente la sua presenza per ottenere quanto voluto anche senza ricorrere all'uso della violenza».
Nell’ambito dell'attività investigativa è emersa un'altra figura di rilievo nel panorama criminale tarantino: un pluripregiudicato il quale, gravato da precedenti penali per il reato di omicidio e di associazione di stampo mafioso, dopo 16 anni di carcere, «ha tenuto plurime condotte delittuose aggravate dal metodo mafioso realizzate quale dipendente di un ente incaricato del servizio di trasporto sanitario privato».