Il Consiglio di Stato ha confermato, anche se con motivazioni diverse rispetto al Tar di Lecce, il no all’ampliamento della discarica Torre Caprarica di Grottaglie, la cui autorizzazione dell’aprile 2018 è al centro dell’inchiesta «T-Rex» della guardia di finanza. Inchiesta che a marzo scorso portò all’arresto dell’ex presidente della Provincia Martino Tamburrano, del dirigente all’Ambiente Lorenzo Natile, dell’imprenditore Pasquale Lonoce e del manager della società Linea Ambiente, che gestisce la discarica, Roberto Venuti (ora tutti ai domiciliari).
Furono i Comuni di Grottaglie, Carosino e San Marzano di San Giuseppe, i più vicini alla discarica, a presentare ricorso al Tar contro la famigerata delibera 45, firmata dal dirigente Natile, con cui si autorizzava l’ampliamento della discarica. Se per il Tar di Lecce in presenza di un conflitto tra amministrazioni locali la decisione andava rimandata al Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato ha stabilito, con sentenza depositata ieri, che era illogica la decisione della Provincia e scorretto il progetto tecnico di Linea Ambiente. Presentato formalmente per evitare il ristagno delle acque piovane, secondo i giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Oberdan Forlenza, il progetto nascondeva lo scopo di sollevare il livello della discarica di 15 metri al fine di prolungarne il ciclo di vita di almeno altri cinque anni. Ipotesi confermata dalle intercettazioni degli investigatori nell’inchiesta della magistratura penale. Secondo il Consiglio di Stato c’erano altre soluzioni tecniche che non sono state sufficientemente valutate dalla Provincia, così come sostenuto dal consulente tecnico dei Comuni ricorrenti, il professor Erio Pasqualini.
«È la vittoria di una lotta di popolo e amministrazione fianco a fianco. Una battaglia iniziata nel 2004. Ora la discarica è definitivamente chiusa» dichiara a Gazzetta il sindaco di Grottaglie Ciro D’Alò. Il 4 novembre inizierà il processo con rito immediato chiesto dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dal sostituto Enrico Bruschi per Tamburrano e gli altri tre principali imputati accusati di turbata libertà degli incanti e corruzione aggravata. Per l’accusa, il presidente Tamburrano, la cui amministrazione un anno prima aveva respinto la richiesta di autorizzazione, aveva cambiato idea perché ricoperto di regali, cene, telefoni, computer, tangenti da 5mila euro al mese, una Mercedes e perfino le spese per la campagna elettorale della moglie, candidata al Senato. Le tangenti, secondo l’accusa, partivano da Venuti, dirigente di Linea Ambiente e transitavano nella società di Lonoce, che doveva gonfiare le fatture per riciclare il denaro da consegnare in contanti a Tamburrano. Gli indagati, ha scritto il gip nell’ordinanza con cui ha concesso i domiciliari, «hanno dimostrato, ciascuno nel proprio settore professionale, di concepire l’attività criminale come fattore fisiologico e non patologico del proprio operato».