Le cose all'italiana. Passano gli anni ma non cambiano le abitudini. Il ballo delle panchine resta uno dei giochini più amati dai presidenti. Nessuno ha pazienza, non c’è mai tempo per valutare l’efficacia di un progetto, quello che conta è costruirsi quotidianamente un alibi per giustificare un fallimento. Troppo facile scaricare tutte le colpe sull’allenatore. In un crescendo di isterismi che, a volte, portano a marce indietro che hanno del grottesco. Esonero, poi di nuovo in panchina e, magari, alla fine il colpo di teatro. Brividi....
Il campionato di serie B manderà tanta gente al «manicomio». Mai come quest’anno sono almeno dieci le squadre che si sono presentate al via con l’ambizione di essere protagoniste. Investimenti e scelte forti per lasciare il segno in un torneo che, da sempre, si diverte a non dare punti di riferimento. Anzi. Diciamo che tra i cadetti può davvero accadere di tutto. E allora? A giugno festeggeranno solo in tre. Le altre? A leccarsi le ferite, magari con due o tre mister a libro paga. Sesta giornata, siamo già a quattro panchine saltate. Diciamo tre, guardando a Como dove Giacomo Gattuso è stato costretto a un periodo di riposo per ragioni di salute. Pronto Moreno Longo, chiamato anche a risolvere problemi di campo alla luce di una partenza non proprio irresistibile nonostante un mercato deciso e creativo (Fabregas). Ma non è tutto. Castori è già a casa, spazzato via dal vento delle quattro sconfitte incassate finora. Cosa paga? Sicuramente non le idee calcistiche. Chi lo ingaggia sa bene che non parliamo di un rivoluzionario, tutt'altro. E allora diciamo che, con l’appiglio dei risultati, si sta cercando quella svolta emotiva che, troppo spesso, scava le differenze. Riecco Silvio Baldini, reduce dal burrascoso divorzio palermitano. La meritava una chance. Storie diverse, però. Luoghi diversi. Forse, anche, prospettive diverse.
La «partita» più intrigante, però, s’è giocata a Benevento. Caserta sulla graticola da un bel po’. È così quando si percorre la strada dell’ambizione. Da quelle parti i bilanci non rappresentano il verbo. Si spende, si investe e, quindi, la fretta diventa una pericolosissima compagna di viaggio. Tocca a Fabio Cannavaro, scelta che più intrigante non si può. Un po’ meno per lui, forse. Sfida complessa, anche velatamente rischiosa. Non gli avranno certo chiesto la salvezza. Lui, poi, che conosce il verbo della vittoria. Lui campione del mondo in quell’Italia che seppe portare in piazza milioni di tifosi.
Paga anche Rolando Maran, a Pisa. La squadra finalista negli ultimi playoff, aspettative troppo alte forse mai rapportate a una rosa profondamente rinnovata. Si riparte con D’Angelo, un vecchio amico che sul piano emotivo non è mai andato via dalla città della torre. Per il momento c'è da ridare ossigeno a una classifica mediocre. Parlare di altro, ora, suonerebbe come una presa in giro. Il tempo, come sempre, saprà raccontare tutto con dovizia di particolari.