Professor Vito Mormando, avvocato, ordinario di Diritto Penale e di Diritto Penale Commerciale all’Università «Aldo Moro» di Bari, il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma del processo penale proposta dalla Guardasigilli Marta Cartabia. Una mediazione positiva?
«Era assolutamente prioritario intervenire sulla riforma Bonafede, rimuovendo quelle incrostazioni normative introdotte da una legge che si era già segnalata per l’uso improvvido dell’espressione “spazza-corrotti”. Un vero e proprio passo indietro della civiltà giuridica. Da questo punto di vista, dunque, è stato fatta un’operazione positiva».
Cosa non la convince, invece?
«La limitazione degli interventi solo ed esclusivamente a disciplina delle intercettazioni e prescrizione. Temi essenziali, non c’è dubbio, ma la polarizzazione è stata eccessiva: ci sono tanti altri settori su cui sarebbe stato necessario intervenire in modo incisivo a cominciare dai reati societari, bancari, fallimentari e del mercato mobiliare, tutti ambiti che aspettano da anni una profonda riforma. Per non parlare poi della depenalizzazione di alcune fattispecie minori».
Anche in virtù delle necessità di mediazione politica la prescrizione è stato il punto più dibattuto. Ritiene soddisfacente la soluzione trovata?
«Solo in parte. Ripeto, superare la riforma Bonafede era indiscutibilmente necessario ma si tratta evidentemente di un compromesso che ospita almeno tre criticità di un certo peso».
Da dove iniziamo?
«Dall’inserimento, all’ultimo secondo, della corruzione nella lista dei reati con termini di esame più ampi».
Non concorda?
«Parliamo di un’area criminologica estremamente ampia tale da comprendere al suo interno sia i fenomeni di macro-corruzione, quelli che possono sconvolgere la vita di un Paese, sia gli episodi di micro-corruzione , magari con un solo imputato. In questa specie di inserimento precario, senza specificazioni e dal sapore molto politico, vedo una assoluta incongruità. È una operazione che mi convince assai poco».
E per quanto riguarda i tempi del processo?
«Questo è il secondo punto. L’intervento in fase di appello mi sembra poco congruo. I processi arrivano sull’orlo della prescrizione già in primo grado per la complessità e la lunghezza non sempre giustificabile delle indagini. Intervenire nel secondo grado risolverebbe un numero di processi assai ridotto».
Qual è la terza e ultima criticità?
«L’inserimento di una categoria giuridica senza carta di identità. Mi riferisco in particolare all’etichetta “improcedibilità” che, invece, è un istituto che ha una sua precisa giustificazione teorica e regolamentazione applicativa. Ma cosa vuol dire improcedibilità? Onestamente non mi avventurerei nel ricorso all’uso di questa categoria giuridica non appropriata, tenuto conto che la prescrizione, invece, è un istituto che appartiene al diritto penale sostanziale».
Nella riforma, in ogni caso, non c’è solo il nodo della prescrizione. A conti fatti i processi saranno realmente più rapidi?
«Mi sembra condivisibile l’impianto per quello che riguarda la durata delle indagini anche se, da questo punto di vista, mi sarai aspettato un intervento più penetrante per quanto riguarda gli obblighi di iscrizione della notizia di reato nel cosiddetto modello 21 che prevede l’individuazione del soggetto indagato e della fattispecie di reato che a quel soggetto viene contestata. Intendo dire che questa attività dovrebbe essere effettuata il più rapidamente possibile e limitando il ricorso ad altre iscrizioni quale, ad esempio, quella del modello 45, cioè il registro degli atti non costituenti notizia di reato».
Infine, non sarà il Parlamento a determinare le priorità dell’azione penale, compito che spetterà agli uffici del pm. L’Aula dovrà semplicemente indicare i criteri generali da rispettare. Un’altra mediazione, insomma. La convince?
«Solo per alcuni aspetti. Ci sono casi in cui è necessario dare la priorità di intervento ad alcune ipotesi di reato ma questa normativa deve essere sempre valutata avendo ben presente il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. La priorità è e resta evitare l’eccessiva discrezionalità dei pm di selezionare le aree di intervento».