Sabato 06 Settembre 2025 | 23:26

Pandemia da Coronavirus e reati: il caso dei «furbetti dei vaccini»

 
Avv. Emanuele Angiuli

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Avv. Emanuele Angiuli

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È il caso di approfondire sul piano giuridico questo fenomeno, per comprendere se esso possa o meno ricollegarsi ad una o più fattispecie criminose

Lunedì 24 Maggio 2021, 15:00

25 Maggio 2021, 15:26

I vaccini anti-Covid sembrano l’unico strumento in grado di permetterci di superare la pandemia in corso. È dunque facile comprendere come, sin dalle prime disponibilità, sia scattata una vera e propria ‘caccia’ al vaccino da parte tanto degli Stati, chiamati a contrattare con le imprese farmaceutiche per garantirsi la maggior quantità di forniture, quanto dei cittadini, che vedono nella vaccinazione un primo passo verso il ritorno alla normalità.

In questo contesto, al Governo è spettato il delicato compito di stabilire un ordine di priorità nella somministrazione delle dosi e la scelta di fondo è ricaduta sull’accordare precedenza ai soggetti più anziani e più deboli, lasciando in fondo chi – pur egualmente o, forse, maggiormente esposto al contagio – è in astratto più capace di difendersi dal virus.

Ne è derivato un fenomeno di cui si discute sempre più: alcune persone, pur non rientrando nelle categorie prioritarie, hanno ricevuto la somministrazione del vaccino, anticipando i tempi della loro immunizzazione.

Così, vari uffici della Procura della Repubblica hanno aperto fascicoli per indagare su questi comportamenti tenuti dai cosiddetti “furbetti” dei vaccini, ipotizzando più ipotesi di reato connesse alla parziale inversione dell’ordine di vaccinazione. Non c’è dubbio, tuttavia, che il termine “furbetto” sia poco compatibile con il mondo legale. È allora il caso di approfondire sul piano giuridico questo fenomeno, per comprendere se esso possa o meno ricollegarsi ad una o più fattispecie criminose.

Innanzitutto, sembra opportuna una preliminare distinzione tra quei soggetti ‘fuori categoria’ che hanno soltanto ricevuto una dose avanzata al termine della giornata di vaccinazione, e che sarebbe stata gettata per impossibilità di conservazione e chi, invece, ha avuto accesso al vaccino mediante indicazione di dati falsi.

Partendo da questi ultimi, i reati che la magistratura sta ipotizzando riguardano innanzitutto le ipotesi di falso ideologico. Per accedere al programma vaccinale, è infatti richiesta la compilazione di alcune autodichiarazioni, nelle quali l’interessato deve riportare i propri dati anagrafici e attestare l’appartenenza ad una delle categorie ‘ prioritarie’. Ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000, tuttavia, attestare un dato non veritiero in una dichiarazione sostitutiva di certificazione costituisce falso in atto pubblico, punito dall’art. 483 c.p. Di conseguenza, l’accesso al programma vaccinale mediante indicazione di una qualifica falsa (operatore sanitario, caregiver, ecc.) potrebbe astrattamente configurare tale reato.

Meno sostenibile è, invece, la tesi che vuol far rientrare i fatti in esame nella fattispecie di truffa, prevista dall’art. 640 c.p. La truffa, infatti, è uno dei reati che il nostro ordinamento prevede a tutela del patrimonio; pertanto, un elemento essenziale per la sua configurazione è l’esistenza di un danno economico subito dalla vittima. In altri termini, perché sussista la truffa, non è sufficiente che ci sia un inganno, essendo invece necessario che questo abbia impoverito la vittima. Venendo al caso di specie, appare dunque evidente che l’anticipazione del turno vaccinale (anche qualora derivi da un inganno) non potrà essere considerata una truffa ai danni dei soggetti con priorità, per assenza di un inganno diretto ad ottenere da questi un pagamento. Neppure sembra potersi parlare di truffa ai danni dello Stato, finalizzata ad ottenere un bene a cui non si avrebbe avuto diritto: oltre alla gratuità del vaccino, è doveroso considerare che la somministrazione del siero è un diritto per l’intera popolazione, non essendo state previste esclusioni, ma solo un ordine di precedenza.

Ciò detto, appare diversa la posizione di chi, fuori dall’elenco di priorità, ha ricevuto una dose che, altrimenti, sarebbe stata sprecata in quanto non somministrata al termine della giornata di vaccinazione e non conservabile.

Con riferimento a questo caso, infatti, sembra doversi imporre – prima ancora del tema giuridico – un ragionamento di buonsenso: è difficile individuare un disvalore meritevole di sanzione penale per l’inoculazione di una dose destinata ad essere cestinata. È verosimile che, in simili circostanze, l’unico effetto prodotto sia l’aumento del numero di persone immunizzate, evitando lo spreco di dosi.

Si può dunque affermare che il mancato rispetto dell’ordine di vaccinazione, in assenza di attività fraudolente, non necessariamente debba ritenersi un reato, costituendo un fatto rilevante più sul piano morale che criminale. D’altronde, il diritto penale è l’estremo rimedio dell’ordinamento e, di conseguenza, ha dei confini ben più stretti di quelli dell’etica.

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