La crescente diffusione in rete di contenuti visivi, pubblicati mediante apposite piattaforme fra le quali “YouTube”, ha recentemente interessato la cronaca. Sono stati numerosi gli episodi in cui alcuni youtuber o influencer, quasi sempre giovanissimi, hanno trovato la morte mentre si esibivano in sfide o pratiche altamente pericolose per l’incolumità personale. Se le cause del fenomeno sono plurime, bisogna rimarcare che il forte impatto di tali contenuti visivi determina un alto numero di visualizzazioni da parte del pubblico, con conseguente beneficio economico per gli autori, in virtù della cosiddetta monetizzazione (la piattaforma web corrisponde al titolare del contenuto una somma proporzionale al numero di riproduzioni da parte degli utenti), o in termini di rafforzamento della notorietà.
Auspicando una pronta prevenzione di tali episodi da parte di chi ne detiene gli strumenti, è doveroso occuparsi degli eventuali profili di responsabilità che possono riguardare tanto gli autori dei contenuti visivi quanto i titolari delle piattaforme internet interessate.
Si pensi alla non troppo lontana vicenda in cui è stato trovato esanime un quattordicenne milanese, soffocato da una corda, dopo aver visionato ed emulato i contenuti di un video pubblicato su YouTube, in cui si evidenziava la pericolosità della cosiddetta "sfida del blackout", consistente nell'adozione volontaria di tecniche di soffocamento finalizzate a provocare una transitoria perdita di coscienza, a cui fa seguito uno stato di ebbrezza. Potrà farsi utile riferimento alla disamina svolta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, investito della vicenda.
Quanto alla condotta dell’autore della clip, viene in rilievo l’ipotesi delittuosa di istigazione al suicidio, prevista dall’art. 580 c.p. La norma sanziona diverse condotte possibili, quali la determinazione di altri al suicidio o il rafforzamento dell'altrui proposito di suicidio ovvero, ancora, l’agevolarne anche soltanto l'esecuzione. Nel caso richiamato, le indagini hanno rivelato che l’autore del video aveva ribadito insistentemente, anche nella descrizione che accompagnava la clip su YouTube, come nessuna delle pratiche descritte dovesse mai essere sperimentata. Si è altresì accertato come nella giovane vittima nessuna volontà suicidaria sia mai esistita, essendo l'intento del minore non quello di privarsi della vita, ma di cimentarsi nella sfida del soffocamento per provare l'ebbrezza dello svenimento per pochi minuti. Il G.i.p. ha pertanto escluso l’integrazione sia della condotta che del dolo richiesti dal reato di istigazione al suicidio, ritenendo altresì insussistente la diversa possibile ipotesi di omicidio colposo, per mancanza di qualsivoglia condotta colposa e del necessario nesso di causalità fra la realizzazione della clip e l’evento mortale. Sgomberato momentaneamente il campo circa possibili responsabilità per chi realizzi e diffonda tali contenuti, in presenza di tutti gli avvertimenti dissuasivi e delle circostanze specifiche del caso, un breve cenno merita il regime di responsabilità delle piattaforme internet che ospitino materiale visivo come quello in esame.
Va subito precisato che la specifica disciplina – dettata dal d.lgs 70/2003, con cui l’Italia ha recepito la Direttiva 2000/31/CE – prevede un peculiare regime di esenzione da responsabilità degli Internet Service Provider, nato in origine per promuovere lo sviluppo dell’e-commerce, garantire l’efficienza della rete e promuovere lo sviluppo delle tecnologie di internet.
Attualmente infatti non viene ritenuto responsabile l’ISP che si sia limitato al mero stoccaggio e memorizzazione di contenuti altrui, individuandosi di contro la sussistenza di profili di responsabilità nella conoscenza dell’illecito da parte dell’intermediario, che non si attivi per prevenirlo o evitarlo.
Rilevante è l’individuazione dei tipi di attività on line oggetto della disciplina (caching, mere conduit, hosting).
Per quanto ci occupa in questa sede, deve essere rimarcato che continuerà ad applicarsi il generale regime di responsabilità aquiliana per le tipologie di attività e per i soggetti estranei alle categorie indicate nel provvedimento normativo.
Ne consegue che – come è da ritenersi pacifico in giurisprudenza – tutte le volte in cui il provider abbia fornito un pur minimo contenuto all’editing del materiale pubblicato in rete lesivo degli interessi tutelati ovvero abbia gestito e selezionato i contenuti di terzi anche a scopi pubblicitari, non può beneficiare del regime di limitazione di responsabilità di cui al d.lgs. 70/2003 e risponde delle violazioni dei diritti dei terzi secondo le comuni regole della responsabilità civile.
La giurisprudenza – a titolo esemplificativo – ha individuato alcune condotte sintomatiche nella predisposizione da parte dell’hosting provider di un servizio on demand, con catalogazione, indicizzazione e correlazione del materiale video pubblicato dagli utenti.
Resta comunque forte la necessità di disciplinare compiutamente anche le ulteriori attività on line non ricomprese nel processo di armonizzazione e di adeguare l’assetto normativo tanto all’evoluzione tecnologica quanto al mutato contesto sociale, tenendo conto della diffusione di internet e dello sviluppo tecnologico.
*STUDIO BPTM AVVOCATI