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La “clausura letteraria” di Mannu

La “clausura letteraria” di Mannu

 
Alice Scolamacchia

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Alice Scolamacchia

La “clausura letteraria” di Mannu

Megamark, le scelte della giuria

Domenica 27 Luglio 2025, 21:15

Cristian Mannu, scrittore cagliaritano, con il suo primo romanzo del 2016 Maria di Ísili (Giunti Editore), ha vinto la ventottesima edizione del Premio Italo Calvino e la prima edizione del Premio Fondazione Megamark, oltre a essere stato selezionato nella cinquina finalista del Premio Giuseppe Berto e nella terzina del Premio Giuseppe Dessì.

Dal 2017, in qualità di primo vincitore, fa parte della Giuria degli esperti del “Premio Fondazione Megamark - Incontri di Dialoghi”, rivolto agli autori esordienti nel campo della narrativa. Con la sua seconda opera, Ritratto di donna (Mondadori), ha vinto nel 2022 la sedicesima edizione del Premio Francesco Alziator.

Quest’anno presiede la giuria del Premio nato a Trani dieci anni fa, la cui cinquina finalista è stata annunciata lo scorso 15 luglio. La proclamazione della vincitrice o del vincitore sarà il prossimo 12 settembre.

Quali responsabilità sente facendo il presidente di giuria di un Premio così prestigioso?

«Ne sento una in particolare: quella di analizzare con estrema attenzione ogni singolo romanzo in concorso. Dentro la prima opera di un’autrice o di un autore esordiente c’è un universo intero. C’è tutta la fatica fatta per arrivare a pubblicare. Ci sono vite, sogni, desideri, anni di letture e di studio, a volte anche frustrazioni, rifiuti. C’è il coraggio di osare, di sperimentare. So cosa vuol dire. E so cosa vuol dire quando qualcuno legge con superficialità ciò che hai scritto. Per questo motivo cerco di entrare in punta di piedi dentro ogni testo, con le orecchie e gli occhi ben aperti, senza pregiudizi, pronto a cogliere ogni vibrazione che il testo può trasmettermi. Non è un compito facile, soprattutto quando le opere in concorso sono moltissime, come è avvenuto quest’anno, ma la sento come una missione».

È difficile per uno scrittore giudicare altri scrittori?

«Più che uno scrittore mi sono sempre sentito (e continuo a sentirmi) un lettore. Quindi mi sento più a mio agio in questa veste che non in quella di scrittore. Prima di vincere il Premio Calvino e il Premio Megamark leggevo moltissime opere prime, esattamente come ora. Il giudizio, inoltre, non è mai su chi ha scritto, ma su ciò che ha scritto. Per mia etica personale evito di leggere le biografie delle autrici e degli autori, e ancora di più evito i social. Non mi interessa il personaggio, il nome sulla copertina, ma solo il romanzo. Non voglio essere condizionato mentre leggo i libri in concorso. Vivo in una sorta di “clausura letteraria” che dura tre mesi e mezzo, durante i quali conta solo ciò che trovo dentro le pagine dei libri».

Cosa cerca nelle storie che legge?

«Prima di tutto una voce, uno stile personale, cose sempre più rare. Cerco una prospettiva nuova sulle cose, un uso non convenzionale delle parole, una costruzione della storia eccentrica e fuori dagli schemi. Cerco la sincerità, intesa come purezza. Cerco testi coraggiosi e sperimentali».

Com’è cambiata la sua vita dopo aver vinto il Premio Megamark?

«Vengo da un’isola che ha il potere di fermare il tempo. La mia vita è rimasta uguale a prima. Aver vinto il premio però mi ha dato la forza di provare a scrivere ancora. Senza quel riconoscimento penso che forse non avrei neanche provato a pubblicare il secondo libro. Essere entrato a far parte della giuria, poi, mi ha dato la responsabilità di provare a cercare e trovare i nuovi talenti della letteratura italiana».

Qual è l’importanza di Premi come questo nel panorama letterario italiano?

«Quella di dare visibilità a romanzi che diversamente, con ogni probabilità, verrebbero ignorati. La vita media di un libro ormai è di poche settimane. Per chi esordisce è ancora più difficile. Per non parlare di quanto poco guadagna oggi chi scrive, a fronte magari di anni e anni di lavoro. I soldi del premio spesso valgono più di quanto le autrici e gli autori incasserebbero dalle vendite dei loro romanzi e possono contribuire ad affrontare con un po’ più di tranquillità la stesura della seconda opera».

Ci sono degli autori, o delle opere, che rimpiange di non aver premiato?

«Sì. In alcune edizioni del premio testi che mi avevano convinto non sono entrati nella cinquina finalista. E non sempre ha vinto il mio romanzo preferito. È il bello di far parte di una giuria composita, dove ognuno ha sensibilità e gusti differenti. Alla fine, ogni anno le opere finaliste sono il frutto di una sintesi, a volte anche difficile».

Ha mai letto una storia che avrebbe voluto scrivere lei?

«Sì. Mi è capitato con l’opera che ha vinto il Premio Megamark l’anno scorso, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia. Mentre la leggevo pensavo che avrei voluto scriverla io. Sono molto contento che il suo autore, Michele Ruol, abbia vinto e che dopo abbia ricevuto tanti altri riconoscimenti, compresa la finale allo Strega».

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