“T’arrecuorde”, ti ricordi? È un libro incantevole questo C’era una volta il Sud di Marcello Veneziani: racconti e ricordi illustrati del Meridione di un tempo. Nella cui tenera ampia galleria di fotografie in bianco e nero scorre la memoria di questo tempo tanto perduto da non lasciare che si perda ancora. Il tempo di un tempo che è il mito del Sud come infanzia del mondo. Un mito che non è solo una nostalgia che attanaglia i meridionali della diaspora. Ma anche una necessità dello spirito, una fame da saziare per tutti i pellegrini di terre lontane a caccia di uno smarrito senso della vita. A caccia di un grembo materno. Che il Sud è sempre e altrove no.
Questo libro è anzitutto un viaggio sentimentale per chi un giorno fu costretto a partire. Ma non solo. Perché quelle fotografie non si limitano a descrivere un passato (quasi sempre, per fortuna) irripetibile. Continuano invece ad esprimere (forse anche senza volerlo) un sentimento nell’era del tramonto dei sentimenti. Esprimono l’antiquariato di un’anima fosse anche sotto vesti di modernariato. Anima dell’ultimo paese che ci vuole per tutti e che nonostante tutto sopravvive al Sud dalle vite di cortesia. Perché il nuovo fascino del Sud, dice Veneziani, è nel restyling dell’antico.
È questo, aggiunge il filosofo pugliese dal remoto esodo, il segreto “malandrino” del Sud fosse anche in versione cinema, pizzica, ricreazione. La sua inalterata malia fra card, chip, cloud, dati. La sua magia, il suo incanto di fronte al disincanto di tutto. Quell’essere in un certo senso «la versione arcaica del mondo moderno» che promana dai suoi luoghi, dai suoi modi di fare e a volte di dire, perché no dalla sua cucina. Ciò che «si differenzia dall’infinito, uniforme presente globale», ciò che viene fuori per contrasto, come in una Tac, in una «terra esile fra l’ancora e il non più». Una «dimensione di favola riferita a un tempo trascorso o anche immaginato». Un’aura. Di fronte alla rotatoria, «la piazza antica è il Sud».
Ma quelle foto. Tu meridionale che vuoi ritornare bambino, leggi e scorri questo libro. Vi troverai un tout Veneziani-pensiero. Ma vi troverai anche quella mezza tinta di dolcezza e di latente disagio (se non di rivalsa) che accompagna gli album di ricordi, il raffronto dall’esito sempre incerto fra ciò che eravamo e ciò che siamo. E, suggerisce Veneziani non meno malandrino anch’egli, immaginate che siano touch screen, pigiatele al centro e «prenderà vita un mondo, risalirà una storia, si rianimerà una situazione». Accadrà il «miracolo del ritorno» in quel viaggio favoloso che sono le fotografie.
Ed eccolo, questo viaggio, questo Amarcord tra foto e testi. Dalla civiltà contadina alla controra. Dai soprannomi ai barbieri di compagnia. Dal «getta il sangue» alle tremende feste di matrimonio. Dagli altarini domestici ai funerali e lutti. Dalle feste del patrono agli iettatori e alle masciare. Dal topo della fortuna all’album di figurine. Dalla vita stretta alla vita gratis. Da padre Pio agli antenati in posa. Dall’odore dei treni alla fame e ai tuguri. Dalle scuole e dai circoli allo struscio in piazza. Dalla religiosità al paganesimo. Da Matera capitale nel deserto a Napoli regina e vaiassa. E volti, volti, una collezione di volti che ci fissano dai loro anni e chissà cosa ci vogliono dire. Più un colto viaggio nel valore e nella tecnica della fotografia, quella «tacita rivolta contro la dominazione assoluta del tempo e il volgere di tutto alla scomparsa».
Più la «tornanza» al Sud. Quella che anche per Veneziani è «un richiamo carnale e spirituale, comunitario e originario». Lui che finora ha preferito «l’adozione a distanza» del suo Sud. Benché anche in lui «col passar del tempo cresce l’idea di tornare davvero». E infine la «restanza». Sembra molto preoccupato, il nostro caro Marcello, per lo spopolamento del Sud, e si capisce. Ma si spopola tutta l’Italia, con l’emigrazione massiccia verso l’estero pure da quel Nord che meno ne avrebbe bisogno. E non sembra molto ottimista su ciò che ne è, della sua Puglia, di un futuro che non gli parrebbe granché diverso dal passato, ora «tra gli ulivi morti, i paesi vuoti o le terre desertificate».
In presa diretta si spera che gli faccia piacere sapere che fra i picchi di sviluppo e i picchi di degrado dei quali anch’egli ha parlato di recente, i primi si affermano sempre più. E che se C’era una volta il Sud, ora ce n’è uno con una modernità che cerca di non disperderlo del tutto.