La «cintura della ruggine» (rust belt) è quella zona degli Stati Uniti compresa tra la regione dei Grandi Laghi fino al Midwest. È lì che, ormai da anni, si gioca la sfida decisiva per le presidenziali. Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Gli «Stati operai» dove si producono automobili, moto, macchine agricole. Ci sono la siderurgia e l’industria della carta. Mani unte, ferri che stridono, antichi echi di fordismo. E un voto che da sinistra si sposta a destra. Le «tute blu» vedono «rosso» che, a quelle latitudini, è il colore dei repubblicani di Donald Trump, sempre più grande catalizzatore dei voti della working class. Non solo quella bianca, si badi. Anche gli ispanici scelgono il tycoon e pure qualche afroamericano inizia ad affacciarsi nelle praterie dell’innominabile. Un fenomeno complesso che «Icaro» prova ad analizzare, oltre le banalizzazioni, ragionandone con Onofrio Romano, docente di Sociologia all’Università Roma Tre.
Professor Romano, da dove iniziamo?
«Da una constatazione: siamo di fronte al declino degli Stati Uniti e al collasso del famoso sogno americano. Cioè di quel modello fatto di consumi, potenza, energia. Tutti gli elettori statunitensi non collegati allo sfavillante mondo global, ma radicati con i piedi nel terreno, sentono che proprio quel terreno sta venendo meno. Il sogno sta finendo».
Dunque cosa fanno? Lo abbandonano?
«No, affatto. L’idea di vita buona che hanno in mente resta sempre la stessa. Ciò che cambia è la strategia che conduce a realizzarla. Qui c’è la differenza fondamentale».
Si spieghi.
«Per trent’anni si è pensato che la via più adatta da percorrere fosse quella del neoliberalismo, dell’apertura, dello scatenamento dei flussi di merci e persone, della libera concorrenza. La promessa di Fukuyama: la storia è finita perché non c’è niente di meglio della liberal-democrazia per garantire benessere».
E invece?
«E invece non è affatto vero. La smentita è all’ordine del giorno».
Trump, di contro, cosa propone?
«Il traguardo è il medesimo come suggerisce la stessa figura di Elon Musk con il suo tecno-ottimismo fatto di macchine elettriche e razzi nello spazio. La conquista del cielo continua ma cambia il metodo. Non più attraverso l’apertura, ma, al contrario, attraverso chiusura e protezione, dai dazi al controllo dei flussi migratori. Ci sarà più sicurezza e si tornerà a produrre in loco. L’idea forza è che il nostro benessere ce lo costruiamo da soli. E su questo terreno buona parte della working class lo segue».
Dall’altra parte, invece?
«La sinistra continua ad essere vista come la rappresentante massima di quell’ordine neoliberale di apertura che non funziona più se non per alcuni strati sempre più esigui. Il resto della popolazione sperimenta una sorte ben diversa e vota di conseguenza».
Quanto ha pesato, sul voto, l’ossessione ecologista dei progressisti?
«Il Green New Deal americano è meglio del Green Deal europeo. Meno calato dall’alto, più partecipato. Ma anche qui: se vuoi imbarcarti in queste crociate, pretendendo partecipazione e sacrifici, occorre che le persone abbiano una sicurezza esistenziale. Detto volgarmente, la pancia piena. Solo da quell’altezza, mettiamola così, potranno occuparsi realmente di ecologia. Altrimenti appariranno sempre come temi lunari».
A proposito di temi lunari, il voto sembra aver rigettato anche alcuni cavalli di battaglia etici della sinistra, come il gender. Gli operai sono oggi conservatori?
«No, non credo minimamente che la classe operaia sia naturalmente conservatrice. Penso però che intraveda in quei temi, ad esempio nel gender, il simbolo di un modello che poi si riflette disastrosamente sulla propria vita economica. In realtà mancano le strutture di mediazione, come i partiti. Un tempo, nelle sezioni del Pci, il primo giorno non tutti entravano aperti e pacifisti. Ma poi, magari, uscivano così. Oggi abbiamo soggetti isolati, allo sbaraglio, di cui nessuno si prende cura. Il risultato è che queste forme ostentate di libertà provocano in loro un senso antropologico di ripulsa».
Professore, come andrà a finire?
«Tutti si aspettano sfracelli ma il trumpismo, dopo tanta retorica e altrettanti palliativi, si sgonfierà in una sostanziale normalizzazione, come successo al sovranismo italiano. La destra è una bolla, la sinistra è non pervenuta. Tutto continuerà as usual, direbbero loro. Anche per molti anni. Finché i nodi verranno al pettine e gli esiti, questa volta, non saranno carnevaleschi. Saranno drammatici».