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La guerra? Non va in ferie e in autunno si rischia l’apertura del fronte Libano

La guerra? Non va in ferie e in autunno si rischia l’apertura del fronte Libano

 
Gianfranco Longo

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Gianfranco Longo

La guerra? Non va in ferie e in autunno si rischia l’apertura del fronte Libano

Si riorganizza, verifica le sue strategie e la portata delle sue conquiste ottenute e di quelle da affrontare

Mercoledì 23 Luglio 2025, 13:30

Con l’estate non si ereditano nuove ambizioni di pace come se i battaglioni, in mimetica, si siano sincronizzati, a turni, assolvendosi da accuse di crimini di guerra, avendo già reso le strade di Gaza o l’intersecarsi di vie di accesso a Mariupol, Kharkiv, Kiev, segnate da cumuli di cadaveri, accatastati secondo età. Non si sono date le varie truppe un periodo di sospensione dalle attività criminali di guerra per un periodo di «ferie», amministrate ed elargite dai governi che coordinano le azioni criminose, millantate come indispensabili neobonifiche territoriali.

La guerra, infatti, non va in ferie. Si riorganizza, verifica le sue strategie e la portata delle sue conquiste ottenute e di quelle da affrontare. Decine di migliaia di civili, inermi, per età scansionati e individuati, specie se di tenera età, così da scongiurare rischi futuri di giovani reclutati da fazioni terroristiche, inermi poi man mano eliminati in una vera e propria programmazione al decremento demografico, restano icone della storia presente e testimonianza della mummificazione della politica internazionale, ingarbugliatasi tra personalistiche sfide, consessi di rilancio giuridico ed economico, sfruttando le opportunità che la guerra offre, aprendosi a tutti noi europei, distaccati e seccati, immersi in preparativi e programmi di vacanze, l’agghiacciante prospettiva di un ritorno, dalle nostre meritate ferie, repleto di sbandamenti finanziari, in cui non ci sarà più posto per il rammarico e il dolore delle tante uccisioni di massa, classificate per età, ma potrà emergere soltanto il saldo che le macabre sembianze della guerra, edulcorate in pretese di pace, prive di incontro, prive di un reciproco conoscersi tra fedi e cultura, rozzamente imposte mediante minacce e ritorsioni, ci metteranno davanti e cui dovremo fare «fronte».

Un saldo delineante ulteriori scenari incerti, rassicurati da chi ha dato fondo al suo arsenale di guerra ritenendo che fosse e sia un modo per stabilizzare la pace; assicurarla alle prossime generazioni, a Gaza e in Ucraina sfoltite per percentuali di età; tenendosi agganciati alla minaccia di «vere» sanzioni (quindi fino ad oggi e continuando ci sono state solo finte sanzioni?), o ai ricatti di un’estensione delle zone di guerra.

Si tratta di un’idea di pace, espressa in questi ultimi giorni da parte di Trump, Netanyahu ed anche Putin, che è in realtà un meccanismo psicotico di pace, ossessionato dalla necessità del conflitto, e che rivolge la sua attenzione unicamente a preservare l’incremento delle percentuali di uccisioni: l’apertura del fronte siriano con i bombardamenti da parte di Israele, proprio il 16 luglio a Suwayda e a Damasco, a difesa della piccola percentuale di popolazione drusa in Siria, che compone però il 10% dell’Idf, significa sottolineare il dominio di una prospettiva di pace ingorda di nuovi orizzonti di guerra. In sostanza si delinea qualcosa di singolare: l’estensione territoriale pretesa dai Serbi negli anni Novanta, da tre anni dalla Russia di Putin, ora si riflette sempre di più in Medio Oriente.

A settembre, a ritorno dalle nostre vacanze, Israele riterrà che consolidare i confini della pace equivale ad allargare le proprie frontiere, inglobando nuovi territori per difenderne le minoranze druse, religione sincretista, dai tratti fortemente esoterici e massonici, che coglie da ogni fede qualcosa sino a ritenere che ci si possa evolvere e migliorare solo trasmigrando da un’anima all’altra, da un corpo ad una nuova età, da un margine di storia ad un diverso orizzonte geografico, proprio come ritengono i leader attuali pervasi da un esoterismo bellico che li fa rinascere da una guerra a un diverso fronte di pace, trasformato nuovamente in una frontiera di guerra, frontiera custodita da cumuli di cadaveri, fosse comuni, estensioni di territorio: ci sarà il Libano ad attenderci quale nuovo scenario di guerra da settembre?

La balcanizzazione della guerra, cioè la sua frammentazione per vari confini e margini territoriali e su diverse popolazioni, profila un macabro rinascere della pace solo se coordinata dal conflitto. Pertanto, dal prossimo autunno ci attenderà una lunga riflessione sul Libano. Per una nuova metempsicosi. Non dell’anima, ma della guerra.

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