Le riforme e le revisioni costituzionali sono il pezzo forte dell’attuale Governo. Per lo più sono espressioni delle peggiori strategie codificate per neutralizzare i baluardi della giustizia, piuttosto che intervenire strutturalmente sulla sanità in coma. Sono strumentali a rendere - principalmente con quella sulle dinamiche trasformative del giudizio avanti la Corte dei conti - esente la politica territoriale dai freni inibitori che le impediscono di spendere com’è più gratificante per chi dispone lo sperpero di denaro pubblico e non nel senso più utile alla collettività. Lo hanno ben chiarito, nella più recente puntata di Report, i bravi procuratori contabili di trincea operanti nella Puglia e nella Campania nonché la presidente Anm, Paola Briguori.
Diversamente, accade con la revisione della Costituzione, appena passata al Senato, funzionale a spaccare in due l’esercizio della Giustizia, con i Pm accampati su una sponda del fiume dell’intolleranza per le toghe e con i giudicanti dall’altra. Insomma, anche qui è egemone nella politica che governa la sofferenza verso i controlli, finanche psicologici. Meglio, verso ogni meccanismo che limita il loro agire, tanto da lasciare presagire l’inizio di una corsa verso il condizionamento della magistratura requirente.
Con entrambi i tentativi, che passeranno a colpi di maggioranza e senza alcun clamore contrario delle opposizioni: per un versante, la messa in panne della giustizia contabile, togliendole l’anima e il corpo, con i magistrati delusi come non mai; per l’altro, si modificherà la Costituzione nella parte afferente alla esistenza della magistratura ordinaria, con una approvazione parlamentare cui necessiterà verosimilmente il responso favorevole del referendum confermativo.
A ben tradurre gli oramai prossimi esiti parlamentari - unitamente al trattamento caterpillar dedicato all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, svuotato gradatamente negli anni da tutti i decisori politici sino a farlo scomparire - sono tutti destinati: a sterilizzare ogni abuso perpetrato dagli agenti nelle istituzioni democratiche e a mettere sotto scacco la Regina protettrice dei diritti della comunità: la Giustizia.
L’effetto negativo più immediato di tutto questo si concretizzerà a breve. Come detto, è all’esame del Senato la riforma del Giudice dei conti, bella e pronta per perfezionarsi in legge dello Stato. Un testo di legge orripilante, sia sul piano della ratio che della lettera, raffazzonata perché ha raccolto di tutto e di più. Un testo ove ciascuno, sofferente delle inibizioni che spettano al sistema dei controlli del terzo potere dello Stato, ha messo ciò che gradiva a riprova di una forte allergia verso le verifiche, preferendo chiaramente di giocare la partita del rispetto dei diritti senza l’arbitro. Peggio, di mandare il Giudice dei conti a pesca di malefatte nella PA con l’amo nudo! Insomma, è tutto pronto perché il potere esecutivo e quello legislativo festeggino «la caduta dell’impero» del sistema dei controlli della Corte dei conti (art. 100 della Costituzione).
Chiamato a festeggiare sul podio dei vincitori, con la medaglia d’oro, il ceto politico impegnato nella PA territoriale che ha guadagnato: - la buona fede d’ufficio dal sapore del salvacondotto dalle responsabilità erariali; - il godimento del silenzio assenso nella formazione dei pareri preventivi sugli atti adottandi dalle istituzioni da doversi pronunciare a cura delle Sezioni della Corte dei conti in tema di contabilità pubblica (sempreché, come vedremo, rimarranno in essere); - l’esclusione della colpa grave di quegli amministratori che si atterranno alla «correzioni in classe» del magistrato contabile; - l’accorciamento della prescrizione quinquennale a decorrere dalla commissione dell’evento produttivo del danno e non più dall’accertamento da parte della Corte dei conti.
Anche i premiati con la medaglia d’argento andranno a casa felici e spensierati, felici di potere continuare a fare peggio di ieri. Alla dirigenza destinataria, a priori e prescindere, sarà di qui a poco consegnato uno sconto del 70% da calcolarsi sul danno erariale prodotto, sempreché il residuale 30% non superi il doppio dello stipendio annuo in godimento.
Non male neppure la medaglia di bronzo, anche ex aequo a vantaggio di molti: a tutti i soggetti impegnati in un contenzioso giurisdizionale avanti la Corte dei conti che godranno degli anzidetti benefici legislativi che diventeranno tali dopo l’approvazione al Senato della Repubblica.
A perdere in questa cinica competizione ad armi decisamente impari la Magistratura contabile, relegata a funzioni per molti versi «diffamatorie» dei compiti rimessile dalla Costituzione. Tra le quali quello di dovere esprimere i pareri preventivi sugli atti della PA con conseguenze tutte da verificare sia sul piano della responsabilità erariale sia nel caso di parere palesemente errato che sulla «inerzia» che configurerà per la PA il godimento di una neonata tipologia di silenzio assenso.
Non solo. A perdere più di tutti sarà tuttavia la collettività nazionale costretta a subire i (molto) peggiori falli di sperpero di denaro pubblico di quelli cui è abituata da anni da parte dell’alleanza consolidatasi tra decisori pubblici territoriali e dirigenza, facile a divenire sempre di più complice delle malefatte.