Trump ha usato il cannone dei dazi differenziali per dichiarare guerra ad amici e nemici; e le borse mondiali in questi giorni hanno accusato il colpo. Differenziali perché tutte le esportazioni degli «amici» sono state colpite con un dazio base del 10%. Il 20% è toccato ai «quasi amici» della Unione Europea, rei di aver approfittato dello Zio Sam. Il «nemico» Cina si è meritato il 34%, salvo ulteriori aumenti.
Il pretesto, perché di questo si tratta come nella favola di Fedro del lupo e dell’agnello, sono i disavanzi commerciali vantati dai diversi Stati nei confronti degli Usa. Appare chiaramente una distorsione strumentale della realtà per le modalità di determinazione del disavanzo commerciale e il relativo dazio. In pratica si è puntato il dito contro i fatturati e non sul valore aggiunto, la vera ricchezza, che si crea con l’esportazione. L’intento del provvedimento inverosimile, tanto che da più parti non si pensava potesse effettivamente essere applicato nonostante gli annunci roboanti, è punire chi ha approfittato dei consumatori statunitensi vendendogli di tutto. Anche Biden aveva avviato con il proprio programma Ira (Inflation Reduction Act) un forte potenziamento dell’industria americana per renderla più autonoma dall’import e ridurre il disavanzo commerciale; ma questa era una politica più ortodossa. Ma si sa, Donald è un imprenditore che ama giocare d’azzardo e dobbiamo prenderlo per tale; e ha fatto «all in»! Salvo poi dichiararsi disposto ad accogliere tutti nella sua lussuosa villa a Mar-a-Lago, come i Re Magi, purché portino doni preziosi. È disposto a trattare tutti come ha trattato in diretta Tv Zelensky e l’Ucraina per accaparrarsi le sue Terre Rare.
Ma come ogni buon giocatore di poker, dopo il buio - con tanti che sono andati al vedo - ha svelato che bluffava, almeno per i prossimi 90 giorni. Vedremo come andrà a finire la partita.
Tutta questa manfrina perché Donald si è reso conto di avere un debito ormai al 120% del Pil che richiede ad alta tassazione e un deficit al 6,7% del Pil con una economia che non tira più come prima e una moneta, il dollaro, che rischia di non essere più la moneta rifugio del mondo. Il rischio è che coloro i quali finanziano quel debito, gli altri Stati, potrebbero anche decidere di non farlo più e come un’azienda in crisi i creditori potrebbero decidere di chiudere i rubinetti. Tant’è vero che la moratoria di 90 giorni l’ha concessa, salvo inasprire i dazi contro la Cina al 125% rea di aver reagito subito con pesanti contro-dazi, dopo che l’asta da 39 miliardi di buoni Usa decennali del 9 aprile è andata oltre ogni più rosea aspettativa di sottoscrizione da parte degli stranieri per circa l’80% del totale. La moneta di scambio per i dazi è stata la sottoscrizione dei treasury.
È questa la conseguenza di scelte politiche precedenti che hanno progressivamente deindustrializzato gli Usa che hanno preferito far produrre gli altri e scelto di puntare sui settori a maggior valore aggiunto e più innovativi: l’economia digitale. Quella stessa economia in cui recentemente la Cina ha dato un forte schiaffo in piena faccia dimostrando con DeepSeek di aver imparato a produrre in modo assolutamente più efficiente e a costi notevolmente più bassi. Diciamo che il Re è nudo e che se non siamo innanzi ad un’altra bolla speculativa, come ai tempi delle dot.com o di Lejman Brothers, poco ci manca.
In pratica gli «altri» dopo aver finanziato il debito dello Stato USA e le sue società digitali, le famose Big Tech, ed essersi concentrati sulla old economy, si trovano ad essere anche accusati di averne approfittato. Il classico «cornuti e mazziati»; dopo aver finanziato, dobbiamo pure ancora pagare per scelte altrui. E mai sia pensiamo di tassare il vero petrolio del XXI secolo, i dati personali costantemente carpiti dalle Big Tech gratuitamente, con Digital Tax nazionali o Web Tax europee, come peraltro raccomandato dall’Ocse; sarebbe lesa maestà. Come se ne esce da questa situazione? Stranamente qualcuno, in preda ad una sorta di Sindrome di Stoccolma, sembra addirittura affascinato dal proprio carceriere e ora è «contento» che i dazi siano stati confermati «solo» al 10% per tutti. Si sa, gli uomini forti al comando hanno sempre esercitato un proprio fascino. La strada l’avevano già tracciata nel 2024 due Italiani, con la «I» maiuscola non a caso, avvertiti - come spesso accade - come delle Cassandre e come tali, inascoltati. Mario Draghi con il proprio Rapporto sulla Competitività Europea ed Enrico Letta con il Rapporto sul Mercato Unico, «Much more than a market» titolo sintomatico del fatto che la Ue non è solo un mercato come lo si vorrebbe far passare in queste ore.
Le linee essenziali del Rapporto Draghi sono: innovazione e ricerca di nuovi mercati, indipendenza energetica con contestuale decarbonizzazione, indipendenza per la sicurezza. La visione del Rapporto Letta è sostanzialmente quella di un Mercato Unico Europeo dei Capitali. Una vera unione finanziaria, alternativa a patriottismi mal riposti, che possa dirottare gli oltre 300 miliardi annui di risparmio europeo dalle imprese americane a quelle di casa nostra meno vessate da una regolamentazione ipertrofica che necessita di semplificazione. Bisogna trasformare il risparmio dormiente in capitali da investire in modo etico, senza abbandonare la strada virtuosa ESG intrapresa e bruscamente interrotta dall’altra parte dell’oceano. Accanto al mercato dei capitali, bisogna creare una vigilanza unica e una politica fiscale europea, senza permettere furbi arbitraggi ad alcuni Stati a scapito di altri. Se siamo sulla stessa barca, dobbiamo remare tutti nella stessa direzione; altrimenti affondiamo tutti insieme. Bisogna diventare autodeterminati e determinanti. Non è più il tempo di delegare le cose importanti agli altri: agli Usa l’innovazione e la difesa, alla Cina la manifattura di base ormai sempre più evoluta e alla Russia e al Medio Oriente l’energia. Troppo comodo; il tempo del vivere spensierato è finito. Trump ce lo ha ricordato a modo suo.
Non è il momento di rispondere alle provocazioni con provocazioni; di rispondere ai dazi con contro-dazi. È il momento della consapevolezza dei propri vizi e delle proprie virtù, spesso sottovalutate. Ammettiamolo, siamo vissuti dal dopoguerra come i figli delle famiglie agiate preoccupandoci di prendere il meglio della vita; come se ci fosse dovuto. In questi giorni abbiamo capito che ci sono anche i doveri e che l’adolescenza è finita. Se ne esce operando non da soli contro qualcuno, ma insieme per il nostro futuro; l’alternativa sarà una recessione, specie dalle nostre parti dove il tessuto produttivo è fatto di PMI che, tanto per cambiare, sono sempre quelle più esposte alle tempeste. E questa proroga di 90 giorni con i dazi ridotti al 10% potrebbe essere un altro bluff per non far crescere la UE adolescente e farla diventare adulta.