Sabato 25 Ottobre 2025 | 17:58

La violenza dilaga, è tempo di riscoprire la nostra «umanità»

La violenza dilaga, è tempo di riscoprire la nostra «umanità»

 
alessandra peluso

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alessandra peluso

Femminicidio: e se questa volta qualcosa cambiasse?

Perché a ogni azione sembra corrisponda solo una reazione violenta, di soppressione?

Sabato 25 Ottobre 2025, 14:37

Viviamo in tempi bui, parafrasando Arendt o Brecht, o forse il «buio» ha sempre caratterizzato l’umano, le epoche, quel nero che in alcuni periodi diviene così fitto da non distinguere le ombre dalle figure, la realtà e tutto ciò che la contraddistingue dalla fantasia. Vero è che il presente è tetro dal punto di vista locale, nazionale, mondiale e le soluzioni se si riesce a trovarle in certi ambiti, non lo si fa in altri, e per di più si avverte poca serietà, poco impegno a voler davvero assumersi la responsabilità di salvaguardare la vita, il benessere dei cittadini.

Ci si allarma per uso di termini inappropriati, però si depauperano gli istituti di istruzione, di formazione, ricerca, si utilizzano slogans o atteggiamenti vittimistici di fronte a una realtà per la quale si fa poco per cambiarla se non talvolta giovare a rendere più fitto il buio. Educare, impugnare la cultura come strumento di evoluzione e progresso culturale anche per migliorare il proprio linguaggio, rendere efficace la comunicazione senza necessariamente usare toni irosi, aggressivi, nocivi all’uditorio, dovrebbe essere prioritario, aiuterebbe forse a tollerarsi, a comunicare bene, a dialogare, trovando un punto d’incontro (qualora qualcuno lo cercasse) in virtù del fatto che non debbano esserci sempre e solo posizioni oppositive ma anche dialoganti nella contraddizione se si desidera il bene del Paese; imparare inoltre ad accogliere il diverso, a conoscersi, a riconoscere i propri limiti, a non imporsi all’altro con la forza o finanche violenza: perché è questo il compito della scuola, non di certo si frequenta o sceglie un indirizzo scolastico per trovare un lavoro che tanto poi difficilmente risponde alle proprie aspettative, quanto a diventare uomini: «Ecce homo», «Ecco l’uomo», il suo scoprirsi «umanità», ragione e impulso, e intravedere la possibilità di conciliazione, per essere capace di comprendersi, abbracciare l’altro, perché - è noto - non possiamo vivere senza gli altri.

Per questo che risulta sconvolgente sapere che con una certa assiduità si uccide una donna, considerata dal maschio solo corpo, oggetto, del quale impossessarsene totalmente, e sul quale decidere il destino. È triste e angoscia tale scenario in cui qualunque attore sociale sembra si arroghi il diritto di eliminare l’altro: apparentemente persone «normali», che agiscono però surclassati da sentimenti negativi. Perché questo accade? Perché a ogni azione sembra corrisponda solo una reazione violenta, di soppressione?

Spesso perché non si conosce «parola», si è logorati dalla sensazione di «nullità», dal senso di «dominio» sull’altra persona. E anche per tal motivo è opportuno chiedersi se è corretto non permettere l’educazione affettiva a scuola. Si può riflettere sul fatto che abbiamo bisogno puntualmente di etichette, discipline, norme, ma si può educare con l’esempio degli adulti, gli insegnanti, indipendentemente che una disciplina faccia parte o no di un programma ministeriale, possono educare al rispetto dell’altro, della donna, alla relazione, e questo è possibile che si verifichi per qualsiasi materia umanistica o scientifica se il docente di appartenenza ha il tempo, il desiderio, la voglia di farlo e non è legato unicamente a un programma da portare avanti, da terminare, così come d’obbligo; e magari qualcuno potrebbe pensare che parlare con i propri allievi muovendo dalla lezione del giorno sia tempo sprecato o se invece proprio quello «spreco» non sia stato un momento perduto di pensiero critico, di riflessione, di crescita.

In fondo, gli insegnanti non sono amici, non sono psicologi, non sono… Semmai sono coloro che devono lasciar traccia nell’allievo o allieva, affinché costui o costei prosegua in autonomia e responsabilità il proprio cammino, ma se questi adulti non hanno in sé alcuna traccia, non credono in sé stessi, o utilizzano linguaggi poco costruttivi in una relazione simmetrica o asimmetrica che sia, come si può educare, formare una classe (spesso numerosa) di altri? Saranno gli adulti che dovrebbero tornare a studiare? A frequentare scuole, luoghi di formazione per aiutare i propri figli, i ragazzi, a capire, a esserci, a saper ascoltare e a garantirsi l’ascolto, a raddrizzare la rotta - quella sì perduta - in un mare notturno, tempestoso, dove si fa fatica a mirar le stelle? Sarebbe idilliaco se imparassimo in relazione al ruolo che si è chiamati a svolgere nella società, all’istituzione che si ricopre, al cittadino, a essere esempio di rispetto, di cura, di attenzione, di luce, perché l’adulto come il maestro può e dovrebbe essere «luce e onda» - per ricorrere a un’analogia utilizzata da Recalcati - illuminare il buio, permettere la navigazione anche quando ci sono le onde che inquietano, in presenza di intemperie.

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