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Il giornalismo «serio» in cerca solo della verità sulla vicenda Almasri

 
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Perché la necessità di questo “silenzio di stato?” E come è possibile che la notizia sia invece finita sui giornali?

Giovedì 13 Febbraio 2025, 11:10

Ritengo che sulla vicenda Almasri, il generale libico arrestato in Italia su ordine della Corte penale internazionale e riaccompagnato a Tripoli con un volo di Stato, sia necessario ribadire come siano andate le cose, almeno dal punto di vista giornalistico.

Almasri, come è noto, è stato arrestato a Torino nella notte tra il 18 e il 19 gennaio. Non un arresto burocratico, ma un lavoro approfondito e lungimirante della Polizia di Stato, che in occasione del fermo ha raccolto una serie di elementi per ampliare e rilanciare l’inchiesta internazionale sul generale libico. E di questa dovizia investigativa dovremmo davvero essere grati alla Polizia di Stato.

La notizia inizialmente è stata tenuta riservata su richiesta delle autorità italiane. A tal punto che la Corte penale internazionale il 22 gennaio, vedendosi costretta a precisare alcune informazioni nel frattempo trapelate, scrive: “Su richiesta e nel pieno rispetto delle autorità italiane, la Corte si è deliberatamente astenuta dal commentare pubblicamente l'arresto del sospettato”.

Perché la necessità di questo “silenzio di stato?” E come è possibile che la notizia sia invece finita sui giornali? Da questi interrogativi sono nate opposte teorie del complotto, ma la verità è assai più semplice. Il 20 gennaio alle 11 del mattino alcuni media libici diffondono via social network la notizia dell’arresto di Almasri a Torino. In Italia non ce n’era alcuna traccia. Quella mattina ero a Gerusalemme per occuparmi della crisi in Medio Oriente, tuttavia ricevendo da Tripoli quella informazione ho ritenuto di fare una cosa semplice: verificare la notizia. Peraltro conosco bene il profilo di Almasri e la filiera criminale libica di cui è un ingranaggio vitale, per averne scritto a lungo su “Avvenire” e almeno in un paio di libri, che mai hanno ricevuto una riga di smentita o precisazione. Da fonti giudiziarie torinesi ne ho avuto certezza oltre ogni ragionevole dubbio. Così, poco dopo le 16 della stessa giornata, cinque ore dopo le prime notizie dalla Libia e dunque perfino rischiando che in Italia qualcun altro potesse anticipare lo scoop, ho dato conferma della notizia citando “fonti dedicate”.

Anche su questo mi è capitato di leggere di un presunto complotto che mi avrebbe visto coinvolto per danneggiare le autorità italiane.Al contrario, come è possibile vedere anche dai post sui social che chiunque potrà verificare, è avvenuto tutto con la consueta perizia con cui cerchiamo di dare le notizie. Che infatti non sono state smentite.

C’è chi si è domandato, anche su queste pagine: “Come mai Scavo per primo? E da chi ha avuto l’informazione dell’arresto?”. Tanto più che io sarei “sempre in guerra contro coloro che combattono i trafficanti di esseri umani, in Italia, in virtù dell’accoglienza”. Dunque non “contro i trafficanti”, ma “contro coloro che li combattono”. Difficile che si tratti di un refuso, molte sono le parole di troppo perché si possa derubricare a un incidente occorso sulla tastiera.

Certo, restano domande aperte, ma l'appello rivolto in queste ore dal ministro Nordio alla Corte penale internazionale perché si intavoli un “dialogo”, con toni molto diversi dalle accuse e dai “complotti” adombrati inizialmente e non ancora dimostrati, ci fa invece ritenere che davvero qualcosa sia andato storto nella filiera italiana, ma questo sarà oggetto di indagini giudiziarie e inchieste giornalistiche.

La cosa importante, per quanto mi riguarda, è ribadire che il nostro lavoro, come ancora una volta testimoniato dalle principali testate del mondo, come il New York Times, la Bbc, The Guardian o il Washington Post, per citarne solo alcuni, è stato improntato a un unico interesse: dare una notizia, anche se questa avrebbe provocato un terremoto politico e conseguenze personali. Un prezzo che, come sai, pago di persona da oltre cinque anni. In fondo poca cosa, se penso a quanto il lavoro che noi svolgiamo - e perciò da giornalista del Sud mi rivolgo alla amata Gazzetta del Mezzogiorno - merita ogni rischio e ogni premio che ci viene prima di tutto dai lettori. Critiche comprese.

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