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Fisco ed errori: così crolla la fiducia del contribuente

 
Fernanda Fraioli

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Fernanda Fraioli

Fisco ed errori: così crolla la fiducia del contribuente

Giuridicamente si chiama «accertamento in autotutela in malam partem» in linguaggio comune «delusione per il disinganno sul rapporto di fiducia con il Fisco». E, se giuridicamente, la recentissima pronuncia della Cassazione è ineccepibile, non altrettanto vale dal punto di vista del contribuente

Giovedì 28 Novembre 2024, 12:32

Giuridicamente si chiama «accertamento in autotutela in malam partem» in linguaggio comune «delusione per il disinganno sul rapporto di fiducia con il Fisco». E, se giuridicamente, la recentissima pronuncia della Cassazione è ineccepibile, non altrettanto vale dal punto di vista del contribuente.

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha riconosciuto che il Fisco in autotutela possa correggere gli errori maggiorando la pretesa erariale avanzata con un provvedimento impositivo del cui errore si è avveduto, purché ciò avvenga entro un determinato limite temporale di decadenza per l’accertamento. Ciò a dire che l’Amministrazione finanziaria ben può annullare per vizi formali e sostanziali l’atto impositivo ed emetterne uno nuovo, più oneroso per il contribuente.

La pronuncia è ineccepibile perché a suo fondamento i giudici dichiarano di aver applicato il principio dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi.

In ciò sottolineando la differenza tra autotutela e accertamento integrativo che, seppur accomunati dall’emissione di un nuovo atto, si differenziano in quanto in quest’ultimo il primo atto è valido ma, alla luce della «sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi», gli viene affiancata una nuova pretesa per il medesimo tributo e periodo, mentre nell’autotutela l’atto originario, proprio perché viziato, viene sostituito da uno nuovo, sulla base dei medesimi elementi già considerati.

Ha ritenuto in proposito la Corte che il legittimo affidamento del contribuente ben possa subire l’integrazione del precedente atto purché in presenza di «specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie» da parte del Fisco a fronte di somme già versate.

Quindi, tra l’interesse individuale del contribuente e quello pubblico alla corretta esazione dei tributi, il primo ha dovuto cedere il passo. I tre principi di diritto affermati sono di non poco momento.

Il primo è che il potere di autotutela tributaria trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione  dei tributi legalmente accertati. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e non sia intervenuta sentenza definitiva, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emetterne, in sostituzione, uno nuovo anche per un ammontare maggiore.

Il secondo principio afferisce alla differenziazione strutturale e funzionale tra autotutela e accertamento integrativo, i quali seppur accomunati dall’emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria, si differenziano perché nella prima la valutazione investe l’atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati; nel secondo istituto, invece, il precedente atto è valido ma gliene viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d’imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l’esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso.

Il terzo, che con l’adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il  legittimo affidamento del contribuente  non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.

In conclusione, quindi, registriamo che, se crescono i margini per il Fisco per rimediare ai propri errori, non altrettanto vale per accrescere la fiducia del contribuente, il quale confidando nel principio ispiratore della recente riforma tributaria aveva cominciato a credere alla possibilità di fidarsi.

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