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Aggressioni ai medici: reprimere non risolve, servono cambiamenti

 
Michele Battaglia

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Michele Battaglia

Aggressioni ai medici: reprimere non risolve, servono cambiamenti

Dopo i fatti di Foggia della aggressione del personale medico e paramedico a seguito della dolorosissima morte della paziente di 23 anni, è opportuno contribuire al dibattito in corso tra medici, società civile e rappresentati delle istituzioni

Lunedì 23 Settembre 2024, 13:20

Dopo i fatti di Foggia della aggressione del personale medico e paramedico a seguito della dolorosissima morte della paziente di 23 anni, è opportuno contribuire al dibattito in corso tra medici, società civile e rappresentati delle istituzioni.

Si apprende che le Istituzioni stanno pensando di adottare necessarie misure repressive nei confronti di chi usa le maniere forti ai danni del personale della Sanità. Ma è la repressione la risposta più efficace per risolvere i problemi delle lunghe liste di attesa e dei ritardi o gli insuccessi in quel delicatissimo settore? La risposta è negativa. L’altra domanda è: perché non rimuovere le cause che hanno trasformato gli attori della violenza cioè i pazienti ed il loro diretto interlocutore cioè i medici nei «capponi di Renzo» dei Promessi Sposi?

È evidente che il paziente è sempre stato ritenuto l’elemento centrale dell’universo Sanità, il bene primario di cui si devono prendere cura in maniera diretta quelli che, anche di recente, sono stati chiamati «angeli»: i medici. Non bisogna tuttavia trascurare che alla base di questo processo sussiste la necessità che si crei una vera e propria alleanza terapeutica tra le due parti in causa, e che questa non può che basarsi sulla fiducia reciproca. Oggi, purtroppo, il sentimento dominante sembra essere quello di ostilità o addirittura di inimicizia, e gli episodi di violenza sembrano essere esclusivamente la punta dell’iceberg di questo clima avvelenato che sussiste nel rapporto tra medici e pazienti.

Il lavoro del medico è molto cambiato dagli anni ’70, quando quelli della mia generazione hanno iniziato ad esercitare. Le diagnosi venivano fatte solo osservando i pazienti e facendosi guidare dai segni patognomonici di determinate malattie. Il medico era considerato sacro, anche perché si sapeva che per buona parte delle patologie non esisteva alcuna cura considerata certa. Per capire bene quel mondo bisogna tornare a considerare la recente pandemia da Covid! Soprattutto la prima fase nella quale non erano note cure efficaci per il virus.

Non a caso, proprio in quella situazione, il medico ha riacquistato parzialmente la sua antica sacralità. Di lui se ne elogiavano l’impegno, la dedizione, il sacrificio. Gli enormi progressi fatti hanno incrementato le capacità diagnostiche e terapeutiche a disposizione della medicina a beneficio dei pazienti, ma hanno anche avuto come effetto collaterale quello di creare false e talvolta eccessive aspettative da parte della società.

Oggi, si pensa che ogni malattia sia risolvibile, ogni complicanza e imprevisto siano impossibili e che ogni situazione debba andare bene. La realtà, però, è ben diversa. Bisogna anche ammettere che il clima giustizialista, che ha travolto il nostro Paese negli ultimi trent’anni, ha diffuso sempre più il paradigma che l’identificazione di uno o più colpevoli equivalga a trovare soluzioni ai problemi! Il clima tossico stratificatosi in questi ultimi trent’anni (alimentato colpevolmente dai mezzi d’informazione) ha contribuito a creare un atteggiamento di diffidenza da parte del paziente nei confronti dei medici, che ha posto le basi per quel rapporto di «inimicizia» sul quale oggi ragioniamo. La classe medica, d’altra parte, ha provato a rispondere a tutto ciò tramite la cosiddetta medicina difensiva che rappresenta il vero cancro che sta distruggendo la sanità. Oggi, si occupano di sanità economisti, ingegneri, telematici, epidemiologi, informatici ed una miriade di altre figure professionali che si stenta ad annoverare per la loro numerosità e diversificazione. Una galassia che ha richiesto una guida super partes che ha attratto il gestore della cosa pubblica, ovvero la politica. Spetta alla politica nominare i gestori della sanità. Ebbene, ciò che ogni cittadino dovrebbe sapere è che chi gestisce la Sanità non è il medico ma i delegati della politica.

Considerando come ormai risulti avvelenato il clima generale, è ingenuo dire che si possa tornare indietro. Al contrario, bisognerebbe rivedere i meccanismi assunzionali del personale della sanità in modo da mettere al primo posto gli aspetti motivazionali, soprattutto in discipline strategiche come la Medicina dell’Emergenza. Reintrodurre corsi di formazione di tutto il personale sanitario incentrati sulla comunicazione e sul rapporto medico-paziente, tenendo conto che il cittadino, prima ancora che paziente, è una «persona» con le sue angosce e con un vissuto ed un contesto di vita sociale che l’operatore sanitario a tutti i livelli ha l’obbligo di conoscere e rispettare. Fare in modo che le dirigenze degli ospedali non trattino i medici come dipendenti, ma come professionisti. Cercare di analizzare singolarmente i casi di fuga dei medici migliori in altre regioni o in altri ospedali della propria Regione, partendo dal presupposto che non è sempre vero che i motivi economici siano gli unici a spingere i professionisti ad allontanarsi dal posto in cui lavorano. Attuare la non più procrastinabile riforma della responsabilità penale e civile della professione medica in modo da limitare il ricorso indiscriminato alla medicina difensiva. Coinvolgere direttamente i medici nella gestione della sanità, supportandoli con professionisti che lo sollevino dalle incombenze burocratiche che spesso fanno trascurare i complessi oneri assistenziali.

Il modello romantico del medico eroe solitario deve lasciare il posto al professionista formato da un punto di vista dirigenziale ed a capo di una vera e propria equipe multidisciplinare completa anche di tecnici non medici. Alcuni di questi provvedimenti sono di immediata attuazione. Una goccia nel mare potrà dire qualcuno, ma che rispetta il principio della presa di responsabilità collettiva di un problema importante per il futuro della società senza scadere nell’autoassoluzione da parte di chi si vede arrivare Renzo con i capponi in mano!

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