Avevo guardato con grande interesse e anche con coinvolgimento il film Inside out quando uscì nel 2015, dirompente produzione della Pixar statunitense. Un film che fece irruzione, letteralmente, risultando sensazionale a milioni di spettatori specie in virtù dell’idea che ne era alla base: dare figure, e modellare personaggi, immaginando e provando a seguire passo a passo l’inconscio di una ragazzina. Costruire raffigurazioni nel linguaggio dei cartoni animati a simbolo dei pensieri di un’adolescente, delle sue paranoie, dei suoi tormenti e godimenti.
In effetti, sensazionale l’idea lo era, perché è vero che dietro ogni nostro pensiero (e nell’età dell’adolescenza specialmente) si affollano voci, si sovrappongono echi di ideali figure, differenti impersonificazioni di ogni nostra paura o premura. Vero, verissimo, e molto divertente stare a guardare e assistere al processo complicato e articolato che può essere della elaborazione interiore dei moti d’animo secondo un (solo all’apparenza semplice) cartone animato. Stesso entusiasmo non si è però ripetuto per la me spettatrice della seconda versione del film, a firma di diversa regia.
Senza mezze misure posso dire che Inside Out 2 mi ha parecchio deluso. Non per la forma - di nuovo stesso schema, stessi e nuovi protagonisti, una galleria di stati d’animo, Tristezza, Disgusto, Rabbia, Ansia, l’incantevole Gioia, direttrice d’orchestra della piccola grande folla, e un meccanismo narrativo che indiscutibilmente funziona. Né mi ha deluso la trama - nuove sfide per la ragazzina protagonista, questa volta, venire ammessa in una squadra importante di hockey su ghiaccio, ossia vincere ogni timidezza e paura e diventare infine sicura di sé.
La delusione è scaturita piuttosto da uno dei personaggi nuovi rispetto all’edizione precedente. Accanto ad Ansia, Noia, Invidia, Nostalgia, altro valore (e figura) aggiunta è il Senso di sé. Per «Senso di sé» dovrebbe intendersi l’autostima e anche, più in genere, l’immagine che abbiamo di noi stessi, sia per come ci sentiamo di essere «da dentro», sia per come appaiamo agli altri «da fuori».
Qui, in un crescendo un po’ isteroide della trama così come del ritmo dei dialoghi tra i diversi «frammenti di Io», il Senso di sé è invocato solo come forma di autostima incoraggiante, consolatoria, sempre «positiva». Assume l’univoco significato di un meccanismo che sprona a migliorarsi, a uscire dal bozzolo, ad affermarsi. Ma il Senso di sé significa altre cose: cose anche complicate, da leggersi in chiaroscuro, non semplicemente tutte «buone». Senso di sé come presa in carico di parti di noi stessi anche ingombranti e non brillanti; accettazione di proprie mancanze e prima ancora, della nostra vulnerabilità. Certo, significa comprendere e assumere il proprio valore, ma intendendo per «valore» la nostra natura più composita, fatta di forza e di debolezza mescolate insieme.
L’Inside out uscito nove anni fa aveva il merito di mettere in risalto e in primo piano la Tristezza, mostrando come ad essa vada dato spazio, espressione, parola. Qui invece, nella nuova pellicola, tutto è assertività, continuo spronare a un’autostima che diventa galvanizzante sino alla frenesia. Tifare per sé stessi. Porsi l’obiettivo di pensarsi invincibili. Come se fosse possibile, realistico, fattibile.
Viviamo tempi impoveriti, anche per come di continuo esaltano l’idea di «vincersi», nel senso di «vincere sé stessi», la propria intima indole, escludendo o mettendo il più possibile da parte quanto invece è fragilità, esitazione, indeterminazione. Tempi che tendono a volerci espropriare della nostra stessa complessità psicologica e delle nostre inclinazioni più «deboli». Non c’è forza senza debolezza, così come non c’è luce senza ombra. Lo si sente ripetere in molti mantra di psicologia on-line, prontuari di saggezza in pillole «usa e getta»; eppure si direbbe che il messaggio non sia recepito, in questo film che in una manciata di giorni ha sbancato i botteghini del mondo. Inside out 2 ci dice quanto la vulnerabilità venga stigmatizzata ed esclusa dalla psicologia collettiva. Bollata magari come «crollo psichico», «deriva psichica», «burn out». Nel mentre il Senso di sé in modo sommario diventa autostima spropositata, iniezione di adrenalinica smania di vittoria. Non è questo. Non così si costruisce un sano equilibrio nel rapporto con il «fuori», quell’ «inside out» nel senso di osmosi tra interno e esterno cui ogni vita deve ispirarsi per poter tenere la rotta con mano ferma, salda, sicura.