Con le elezioni ormai alle spalle è auspicabile riprendere a ragionare su questioni che potrebbero interessare anche i neo eletti nelle Assemblee, non solo cittadine.
Una delle quali, e neppure fra le secondarie anche se la vicenda pare dimenticata, è quella che un paio di mesi addietro ha affrontato Michele Emiliano di fronte alle pressioni dei vertici nazionali dei Partiti, ma non dei civici, per lo scioglimento di una Giunta pur immune da sospetti, e che lui ha risolto nel modo più improbabile: un messaggio watsapp che ha scontentato i dimissionati e generato la durissima reazione di una parte del Pd, di Nichi Vendola e del suo intero partito (cui è ben difficile dar torto) per una destituzione per ragioni apprese solo dai giornali.
Il tutto al di fuori del Consiglio Regionale il quale, invece, viene poi invocato per un’improbabile sfiducia al Presidente, con «la contraddizion che nol consente».
E questo pur d’assecondare la spinta perennemente competitiva fra Partiti della medesima area che, se (forse!) giustificata a livello nazionale, ha scarsa rispondenza nelle sedi regionali.
Una posizione difficile quella di Emiliano alla quale lui ha risposto a suo modo, scegliendo - e sempre unilateralmente - figure femminili, ancorchè di indiscusso profilo: una delle quali ben caratterizzata per l’appartenenza a Libera, la componente fra le più visibili della società civile nella lotta alla criminalità organizzata, che, invece, non l’ha riconosciuta perché preferisce non identificarsi in alcuna appartenenza politica o istituzionale.
Le difficoltà di un Presidente, o Sindaco, nel formare o destituire una Giunta non appartengono tanto alle capacità di selezionare persone degne di comporre l’organismo di governo ma derivano dalla «novella» che concede loro la facoltà, anzi il diritto-dovere, di formare la Giunta con mano (solo apparentemente!) libera, intestandosene la formale responsabilità, al di fuori della valutazione politica e una vera e propria elezione da parte dell’organismo consiliare che, fra l’altro, garantisce il diritto al dissenso.
Di più: l’abolizione di ogni competenza per le Assemblee consiliari, introdotta per esorcizzare la cosiddetta «partitocrazia», ha generato il rischio ben peggiore del «dispotismo - autoritarismo del capo»: una «deforma» giustificata, forse, dalle contingenze degli inizi degli anni ‘90 del novecento per la cosiddetta «governabilità» ma che non ha dato alcuna buona prova democratica; se è vero che i condizionamenti dei Partiti (ammesso che solo di questo si trattasse) restano inalterati e all’auspicata maggiore stabilità degli organi non ha corrisposto la legittimazione democratica dei nominati (o dei dimissionati).
La sottrazione alle Assemblee delle prerogative politiche proprie e l’attribuzione ai Sindaci o Presidenti della scelta, fra le altre, con decisione unilaterale e sotto la loro esclusiva responsabilità di assessori un tempo legittimati da elezione da un organismo democratico, fu dettata dalla crisi dei partiti e da rimedi improvvisati dal Parlamento, anche se in anni particolarmente difficili e con l’influenza, forse eccessiva o poco correttamente applicata, di un altro «potere» dello Stato.
Modifiche che se raggiungono l’obiettivo della rapidità di alcune decisioni oggi più che mai producono l’effetto contrario: poteri assegnati ai singoli, pur eletti direttamente, che appaiono eccessivi ma che sarebbe indispensabile rivedere, per tornare alle previsioni della riforma del 1990, quella una vera riforma: e, fra l’altro, all’elezione degli assessori dai Consigli, per ciò stesso con piena legittimazione democratica, sì da sollevare sindaci o presidenti da responsabilità personali a forte rischio di uso abnorme. E, naturalmente, con regole molto stringenti per evitare cambi di casacca sempre più frequenti, ma anche per la fortificazione, rigenerazione e moralizzazione degli stessi Partiti.
Anche se l’ormai ineludibile discorso sul recupero del loro ruolo, a propria tutela e come argine verso il trasformismo ed un sempre più improprio civismo (questo sì fonte di inquinamento ancor maggiore rispetto agli stessi Partiti) richiede una riflessione di più ampio respiro.
La revisione nel suo complesso dell’ordinamento emergenziale, per sua natura transitoria, e il ritorno ai principi della rappresentanza appare sempre più urgente perché ad una emergenza funzionale si è sovrapposta quella democratica; se possibile, ancor più grave.