Una mattina qualunque, con una domanda abituale: quando sarà libertà, il respiro a pieni polmoni? Leggo dell’ultimo decreto legge che «introduce misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile». Segue una «misura urgente» sui tre fronti: carcere fino a 2 anni per i genitori di minori che eludono l’obbligo scolastico.
Come se l’ombra dell’emarginazione fisica e sociale non bastasse, ecco aggiunto il ricatto economico: «Inoltre, i soggetti che violano l’obbligo perdono il diritto di percepire l’assegno di inclusione». Che immagine passa della scuola? Non un luogo dove imparare pratiche di empatia e libertà per una pacifica coesistenza, ma una iattura inevitabile. E arbitraria, perché una classe politica lontana - fisicamente, economicamente, anagraficamente, culturalmente - ha stabilito che è così e basta.
Senza sforzi per immaginare percorsi di inserimento graduali e accompagnati calibrati sulla condizione socio-economica del nucleo familiare, delle capacità e desideri del minore.
Che immagine passa dello Stato su un campo cruciale come l’educazione? Un padrone che crede di sapere cosa è giusto e cosa no, che salta quella rogna - pure un po’ da femminucce - dell’ascolto e del dialogo e impone. Ma una figura simile non può far altro che alimentare diffidenza, persino ostilità verso le istituzioni. Con tutto il pericoloso corollario di conseguenze.
E che immagine dei cittadini, soprattutto delle fasce economicamente più deboli? Persone poco dotate di raziocinio, a cui parlare nei termini «carota - bastone». Per giunta, il decreto è stato battezzato «decreto Caivano» perché adottato alla luce di quella vicenda. Ebbene, quella violenza, anche di per sé sola, anche fingendo che in Italia per femminicidio non muoia una donna ogni 3 giorni, non basta a introdurre educazione sessuale nelle scuole e uno sportello psicologico con presenza fissa? Quante altre ragazze, donne, persone dovranno essere molestate, stuprate, uccise dalla violenza patriarcale? Ma forse il disagio giovanile e la povertà educativa si risolveranno davvero con la figura dello «Stato moralizzatore».
Scemo Peppino Impastato che parlava di «educazione alla bellezza» pensando che la curiosità e lo stupore potessero salvare dalla rassegnazione.
E scema io, che penso che tutto sia sempre un intreccio complesso. In effetti, solo una matta può continuare a chiedersi: quando la libertà?
* Studentessa di Giurisprudenza presso l'università di Bari «Aldo Moro» e componente del Direttivo de «La Giusta Causa»