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Riforme costituzionali, l’Italia ha bisogno di istituzioni più efficienti

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Riforme costituzionali, l’Italia ha bisogno di istituzioni più efficienti

Che la Costituzione abbia bisogno di un tagliando è affermazione persino scontata

Venerdì 12 Maggio 2023, 13:51

Nelle sedute del 14 aprile 1983, Camera e Senato approvarono due analoghi documenti con i quali deliberavano di costituire una Commissione bicamerale che avrebbe avuto il compito di formulare proposte di riforme costituzionali, nel rispetto delle competenze istituzionali delle Camere. È la premessa sulla quale si sarebbe di lì a poco formata la «Commissione Bozzi»: il primo tentativo organico di riforma dell’assetto istituzionale fissato dalla Costituzione del 1948. Da allora tanta acqua è scorsa sotto i ponti; tanti tentativi si sono inutilmente succeduti, al punto che si potrebbe icasticamente affermare che un mese fa è stato celebrato il quarantesimo anniversario di un insuccesso.

È lecito perciò, ritenere che anche il tentativo inaugurato dalla Presidente del Consiglio sia destinato a fallire, aggiungendo un’altra perla alla collana delle sconfitte. La indubbia difficoltà non fornisce, però, una risposta a questo quesito: il tentativo, per quanto difficile, può o no arrecare un beneficio al Paese?

Che la Costituzione abbia bisogno di un tagliando è affermazione persino scontata. C’è stato un periodo della cosiddetta Prima Repubblica nel quale, per ragioni connesse all’esigenza di affermare una sorta di «consociativismo realizzato», vi fu la tentazione di trasformarla in un testo sacro e intangibile. La Costituzione del 1948, invece, è stata un grande e riuscito compromesso, anche perché vergato sotto il velo dell’incertezza: scritta quando la Guerra Fredda era già scoppiata ma non si conosceva ancora da quale parte del mondo bipolare l’Italia avrebbe deciso di collocarsi.

Di quella incertezza la nostra Carta Fondamentale porta le stimmate. I primi a rendersene conto furono proprio i padri costituenti, alcuni dei quali esplicitamente rimisero alle future generazioni il compito di sciogliere i nodi che il contesto storico non consentiva di risolvere, prima di ogni altro quello relativo alla definizione e all’autonomia del potere esecutivo. Quel legato ad oggi non è stato ancora onorato.

Il fatto che il tentativo sia legittimo, non implica però che esso sia anche utile. Da più parti, infatti, si è detto o scritto: «con le urgenze che il Paese deve affrontare, nelle difficoltà di un tempo che ha visto pandemie e guerre succedersi senza soluzioni di continuità, è proprio questo il momento di mettersi nuovamente a parlare di riforme?». L’obiezione avrebbe senso se il governo si limitasse a svolgere solo questo compito. Proprio l’esperienza della Costituente insegna che non è così. Allora le urgenze non erano certo meno gravi di quelle di oggi. Il Paese usciva da una guerra disastrosa ed era anche materialmente distrutto, alle prese con una ricostruzione difficile in un contesto internazionale quanto mai turbolento.

L’edificazione delle istituzioni fu però concepita come percorso distinto, che si sarebbe delineato parallelo a quello del governo. Ciò perché, anche quando lo scoppio della Guerra Fredda impose scelte dirimenti, lungo quel cammino si sarebbero proceduto insieme al fine di stabilire solidarietà fondamentali più forti dei solchi che la storia aveva provveduto a scavare.

Giorgia Meloni, per questo, decidendo di partire dal dialogo con le opposizioni non ha sbagliato il primo passo. L’Italia ha bisogno di istituzioni più efficienti e moderne. Ce ne si rende conto ogni giorno: quando ci si imbatte nelle troppe procedure, nelle difficoltà di gestire il Pnrr o nella mancanza di garanzie e regole certe per chi investe e per chi rischia. Tale esigenza è di tutto il Paese, non solo di chi ha temporaneamente il compito di governarlo. Per questa ragione spetta alla maggioranza lo sforzo della condivisione e all’opposizione di sconfiggere la tentazione di trasformare il suo diritto al compartecipare in ostruzionismo.

Resta un ultimo aspetto metodologico da affrontare. Da quando quarant’anni fa il percorso delle riforme venne inaugurato, il mondo si è trasformato. I mutamenti, inevitabilmente, si sono riflessi anche nell’ambito del politico e condizionano la definizione della rappresentanza, i problemi connessi alla decisione, il quadro delle garanzie, l’equilibrio dei poteri. A giudicare da come il dibattito si sta avviando, però, non sembra che tali cambiamenti siano tenuti in debito conto. Esso appare velato da una patina di inattualità che lo avvolge e lo costringe. Ma per evitare che eventuali scelte siano già vecchie nel momento in cui vengono assunte, quella patina va assolutamente rimossa. È questa una responsabilità precipua della politica ma anche di chi anima il dibattito al livello della società civile: nessuno deve ritenersi assolto.

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