L’11 aprile del 1963 fu Pubblicata l’Enciclica Pacem in Terris di Papa Roncalli. Da quel giorno sono trascorsi 60 anni e il mondo vive l’inquietudine della «terza guerra mondiale a pezzetti» e della minaccia dell’uso della bomba atomica. Papa Giovanni rivolse il suo messaggio alla sua Chiesa, ai Governi, a tutti gli uomini di buona volontà. Il carattere universale di quel messaggio riecheggiò nelle parole di Paolo VI al Palazzo di Vetro dell’Onu nel 1965.
L’anno precedente la Santa Sede era divenuta Osservatore permanente dell’ONU. Il nucleo fondante della Enciclica era il superamento della logica del terrore fra i detentori degli arsenali atomici, che si era vissuta con la crisi di Cuba. E l’appello a sostituirla con il dialogo, la diplomazia , la cooperazione fra i due blocchi contrapposti di allora: Usa e Urss.
Con le differenze che i grandi mutamenti degli equilibri mondiali hanno fissato fra quel tempo e l’oggi, lo stesso principio anima il Pontificato di Bergoglio da Fratelli tutti agli appelli più recenti di fronte alla guerra in Ucraina e alle tensioni in tante parti del mondo . Si obietta che queste posizioni sono proprie del magistero delle autorità religiose e che hanno poco a che fare con il principio di realtà che è costitutivo della politica. La replica è che in questo modo si finisce per ignorare che, pur nella distinzione delle due sfere e nella incertezza degli esiti, la diplomazia vaticana agisce ruolo riconosciuto anche nelle relazioni internazionali fra gli Stati .
Di questo ci parla a 60 anni di distanza Pacem in Terris.
E ci parla anche della sintonia della dottrina sociale della Chiesa con la Costituzione italiana a riguardo della dignità del lavoro. Con quell’art.1 che fu generato dall’incontro fra cultura cattolica e cultura delle sinistre socialiste e comuniste del tempo .
Nel paragrafo 10 della Enciclica leggiamo: «In tutte le comunità nazionali, nei lavoratori è operante l’esigenza di non essere mai in balia dell’altrui arbitrio, ma di essere soggetti o persone in tutti i settori della vita economica, della cultura, della vita pubblica. «Va inoltre messo in rilievo - si continua - il diritto ad una retribuzione determinata secondo criteri di giustizia per permettere al lavoratore e alla sua famiglia un diritto di vita conforme alla dignità umana».
Nella lettera vi è inoltre un chiaro richiamo ai doveri dei poteri pubblici «perché allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale».
Pur di fronte a innegabili progressi scaturiti dalle lotte sociali del dopoguerra, non si può non registrare che ancor oggi la tutela di quella dignità è negata. Non solo per gli alti indici di disoccupazione. Anche per la condizione di working poors, lavoro povero, che le grandi concentrazioni finanziare o le piattaforme digitali determinano per il lavoro dipendente, per attività autonome e di micro impresa .
I tempi sono cambiati, non la modernità dei messaggi di Pacem in Terris.
Su due aspetti fondamentali per la vita delle persone e del pianeta -la pace e la dignità delle persone che lavorano - la politica è attesa ad un salto di paradigma .
Sulla pace qui e ora. Alla condanna senz’appello della invasione russa che ha violato la sovranità nazionale dell’Ucraina, la Ue deve più risolutamente coniugare appartenenza alla Nato con la propria «Autonomia Strategica». Da un impegno comune dei Paesi Fondatori come Francia, Germania, Italia, ma anche di Spagna, Portogallo, Grecia, deve scaturire una più determinata iniziativa diplomatica per il cessate il fuoco. E nello stesso tempo deve essere finalmente messo in agenda il tema di una difesa comune europea. La corsa nazionale al riarmo è dannosa per i bilanci pubblici come quello italiano e improduttiva ai fini della sicurezza comune contro le minacce esterne.
Cosi come perseguire «lo sviluppo umano integrale» vuol dire almeno a livello europeo superare contraddizioni e storture del modello di sviluppo; metter mano alla armonizzazione del mercato unico con i dettati delle Costituzioni nazionali in tema di tutela universale dei diritti del lavoro. Per esempio sostituendo il principio dello Stato di origine con quello dello Stato di destinazione. In modo che l’impresa che si stabilisce da un altro Paese in Italia sia tenuta a rispettare i salari delle leggi e dei contratti vigenti nel nostro Paese (ancorchè fermi da decenni e fra i più bassi nelle economie sviluppate ).
Sono obbiettivi difficili ma possibili. Lo rivelano intese come quella per esempio raggiunta nel Trilogo UE fra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo per proteggere le produzioni di metalli Made in UE ad elevati standard ambientali dalle importazioni di prodotti di altri Paesi extraeuopei, dannosi per la salute dei lavoratori e per l’ambiente. Da questi temi dovrebbe prendere avvio si da ora il dibattito pubblico sulle elezioni del Parlamento europeo del 2024.