Al re Giorgio, specie dopo la morte, si sono inchinati in questi giorni i grandi e i piccoli della terra con una ostentazione che invita tutti noi a interrogarci: quali meccanismi sono intervenuti? Quali sentimenti hanno agito per trasformare in uno spettacolo quasi di culto collettivo le esequie per un grande imprenditore, un grande stilista?
La risposta, non semplice, ci induce a riflessioni che vanno al di là dello stesso evento e della sua figura, che toccano l’essenza stessa della eredità morale.
In primo luogo, sì, l’ammirazione e il rispetto sono intervenuti a decretare l’apoteosi. Giorgio Armani (ieri i funerali nel borgo di Rivalta) ha rappresentato e interpretato una pagina d’Italia, di storia del made in Italy e della cultura, ma soprattutto è stato tra i pochi che hanno con l’azione costante riempito di contenuti la missione dell’economia italiana nel mondo, del genio e inventiva dei suoi protagonisti.
In secondo luogo la sua non è stata un’opera di valenza indistinta, semmai ha riguardato un ambito come quello della moda che meglio di altri comparti costituisce la summa dell’eredità culturale che si racchiude in alcuni rami della progettazione, della produzione, della scuola, del genio e dell’arte italiani.
In terzo luogo il re Giorgio ha colpito per la costante e diuturna signorile perseveranza che lo ha visto sempre in linea in maniera indefessa e con uno sguardo che sapeva salvaguardare il patrimonio della sua opera e della sua testimonianza nel mondo.
Sarebbe bastato tutto ciò a segnarne la gloria tra gli uomini? Ma Giorgio Armani ha aggiunto la distinzione della sua condotta e, implicitamente, l’eredità di una lezione.
La sua vita è stata una narrazione costante di cos’è la bellezza, di come la si possa sognare, ideare, progettare e, successivamente, la si debba praticare e diffondere costruendo oggetti, abiti, situazioni che ambiscono alla formazione di una estetica di distinzione collettiva.
La ricerca della bellezza da parte di Giorgio si è tradotta nel linguaggio che ogni giorno vestiva di semplicità e di armonia il difficile connubio tra il bello e l’utile, nel contesto di un’etica e stile di lavoro. Coloro che in questi giorni hanno cantato la vita di Giorgio sanno che il regalo e l’insegnamento più alti che possono venire da lui è l’invenzione di forme che attingono alla eleganza e alla semplicità.
Guardiamoci intorno e rendiamoci conto che il binomio Eleganza e Semplicità è quello che manca nella gran parte delle azioni che popolano il mondo in questi terribili anni. Troppo spesso sentiamo invocare, in un ventaglio ampio, pace, fratellanza, condivisione, senso dell’umanità, ma poi ricorriamo anche alle armi e allo spirito bellico, invece che al potere salvifico delle parole e delle idee di confronto.
Invece dell’eleganza e della dolcezza si congela il potere salvifico della bellezza e prevale spesso il kitsch e lo sguaiato, lo spirito bellico e antagonista, che non invita all’emulazione ma ci ributta nei fondali dell’orrido per allontanarci dall’armonia e da quelle leggi naturali che la offrono all’uomo.