Il fatto, come sappiamo, è che bisogna scegliersi attentamente dove si nasce. E soprattutto come. Nel senso di ricco, povero, bello, brutto, istruito, ignorante e via dicendo. Al femminile basta sostituire la «a» alla «o» finale.
L’ideale è nascere in Occidente. Cioè in Europa - occidentale, naturalmente - o in America, nel senso di Stati Uniti - costa atlantica o pacifica, in mezzo non c’è granché - oppure in Giappone, che però è lontano. Australia e Nuova Zelanda sono ancora più lontane e anche se sono di origine europea non è che si sappia bene che fanno, come stanno. Nascere biondi, magri e longilinei (al femminile tutte «e») è già un biglietto da visita che permette l’ingresso nei club - oggi diremmo i giri - giusti; quelli degli happy few, i pochi fortunati, felici, come li chiamava Stendhal, o dell’élite, come si dice oggi in ambienti lombardi. Bisogna però dire che anche una pelle abbronzata di morbido splendore mediterraneo con relativa qual certa indolenza ha modo di farsi apprezzare e invidiare, particolarmente in ambiti televisivi e derivati.
L’istruzione - vade retro cultura - non è un discrimine, se non caso mai al contrario, perché si sa come sono quelli che leggono i libri: insopportabili, e quindi giustamente evitati. Una sana dose di ignoranza - ebbasta co’ ’sto congiuntivo! - fa anzi bene alle conoscenze giuste, perché vuol dire che sei uno alla mano, che parla come magna, e quello che dici si capisce «subbito» e no che ci vuole il «vocabbolario». Resta il censo. La ricchezza, se si vuole. O i soldi, se si è un po’ terra-terra. Danno la felicità? No. Cioè… Vabbè, provate che «al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti», come cantava Battisti e poi ne riparliamo.
Dice, ma allora per essere happy bisogna avere per forza il Ferrari e lo yacht a Monte Carlo? No, ci sono 50 sfumature di biondo oro, Il colore dei soldi (Paul Newman - Tom Cruise e soprattutto Martin Scorsese alla regia). E finché ci rientri sei al caldo e seduto sul morbido. Anche se non te ne rendi conto e ti lamenti.
I guai cominciano quando sei fuori da quell’Occidente che si è detto. E a viverci fuori sono tanti, perché su otto miliardi che ormai siamo su questa faccia di Terra gli occidentali che possono sperare di entrare nei giri giusti non arrivano neanche a uno. Gli altri? Devono arrangiarsi, vedere come fare. E anche per loro ci sono cinquanta sfumature di malessere, di infelicità, di vita che non è vita ma cercare di sopravvivere, giorno dopo giorno. E ci sono le carestie, le siccità, i dittatori. I dittatori in particolare sono bravissimi a fomentare odio, guerre, devastazione, fame, morte. E chi non resta morto in una capanna di lamiere o insepolto in mezzo a una strada, quando non ce la fa più e la disperazione lo vince, decide di andarsene, di cercare in un altrove lontano, dove si dice che abiti della gente felice, un po’ di vita, un lavoro, e forse un giorno il benessere per i figli.
Pensa soprattutto a loro, come fanno tutti quelli del genere umano, anche quelli che possono essere felici. I Paesi dove si può essere felici sono lontani, c’è da attraversare deserti, superare montagne, mettersi su una barca in un mare che non si è mai visto prima. C’è da pagare a chi conduce in quelle traversate un prezzo che costa anni di lavoro, ma non importa, si fa per i figli, perché loro un giorno possano essere felici. E li si porta con sé. Stretti in una barca fragile che non è sicura, ma stiamo per arrivare, si vedono le luci della costa, lì non c’è fame, non c’è guerra, non si rischia di morire senza sapere chi o cosa ci ha uccisi, perché. Adesso siamo davvero arrivati, si vede la riva. Ma proprio adesso battiamo contro qualcosa di duro, una secca. La barca si apre come un giocattolo di balsa. Cadiamo in acqua, non sappiamo nuotare, il mare non l’abbiamo mai visto prima di questo viaggio, tanti di noi annegano, tanti figli, quelli che volevamo salvare, che volevamo che fossero felici. Il giorno dopo i nostri corpi sfigurati dal mare sono sparsi lì, vicino alla riva. A cento metri. Così abbiamo pagato il nostro desiderio di avere una vita che fosse vivibile. Soprattutto per i figli.
Ma nei Paesi dove si può essere felici si vede che non sanno cos’è la disperazione. «La disperazione non può giustificare viaggi pericolosi per le vite dei figli», ha detto un ministro. E un giudice ha parlato di «esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni». Sì, lì nessuno ha bombardato la loro casa, i loro figli potranno essere felici.