Venghino, venghino. Tutte le emigrazioni si somigliano. A fine Ottocento quella per Paesi assai lontani. Ora quella per andare a curarsi al Nord. Allora per quartieri giravano banditori che magnificavano le navi-carretta pronte a portarsi via i meridionali per la terra dell’oro. Ora arrivano addirittura i pulmini per imbarcare verso la speranza della salute. Sia ora che allora un marketing sulla sofferenza altrui. Quella del Mezzogiorno, per il quale l’emigrazione continua a essere un destino. Ora per chi già alla nascita sa che dovrà vivere meno di altri italiani non più fortunati, ma più privilegiati. Come puoi pensare tu di Foggia di non dover morire prima di uno di Milano?
Da tempo una sanità già sperequata in partenza presenta il conto. Non solo il doppio delle possibilità per un bambino del Sud di non sopravvivere al primo anno dalla nascita. Ma poi una media di tre anni in meno di vita rispetto al resto del Paese, perché un anziano su dieci al Sud non ce la fa a curarsi, non ha i soldi. E si affida alla sua sentenza. Mai migliore occasione per i falchi del dolore di piombare e di promettere luminari e ospedali che voi non avete.
Non li ha, il Sud, perché al Nord ci sono più anziani, cioè cittadini più bisognosi di cure. Quindi Stato che finanzia più il Nord. Perché nulla conta che gli anziani del Nord siano più benestanti e quelli del Sud più poveri. E solo dopo giorni di penoso scontro di egoismi e di insensibilità fra Regioni si è raggiunto alla fine dell’anno scorso un mezzo accordo che non fa più giustizia. Ma solo mitiga l’indegnità di un Paese che tratta in maniera diversa i suoi cittadini a seconda di dove sono nati e di dove vivono. Anche nel diritto fondamentale della vita. E dalli la Corte dei conti a dire che questa è inciviltà.
Poi i viaggi della speranza. Ciascuno è libero di andare a curarsi dove vuole. Sarebbe più libero se non ne fosse costretto perché nato nel posto condannato a essere quello sbagliato. Così ogni meridionale che va a curarsi al Centro o al Nord fugge da un ingiusto divario ai suoi danni che con la sua partenza però aggrava. Cioè ogni partenza crea al Sud condizioni perché quei viaggi si moltiplichino. E condizioni perché le città scelte al Centro o al Nord si vedano arrivare sempre più pazienti.
Ma a questo mercato non dovresti aggiungere i luminari (o presunti tali) che scendono per consulenze al Sud e suggeriscono ai malati ricoveri dalle parti loro. Magari in loro cliniche private. Anzi vi faccio arrivare navette per caricarvi e via, diciamo furgoni. Spendete da noi. Anzi spenda anche il parente che vi accompagna, abbiamo b&b attrezzati allo scopo.
In verità chi spende è la Regione, ma con le tasse nostre. Incursioni piratesche, definite dall’assessore pugliese alla Sanità Rocco Palese. Oltre 800 milioni di euro in tre anni, con 25mila persone solo nel 2020. Spesso per interventi non tanto complessi per una giustificazione: ortopedia o addirittura chirurgia estetica, quindi non oncologico.
Marketing, speculazione, andazzo su cui ora la Puglia interviene. Tentativi di accordi (complicatissimi) soprattutto con Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Veneto: regioni della speranza ma anche (spesso) presunti paradisi non più miracolistici di casa propria. Che (spesso) per essere più attrattive danno precedenza agli arrivati da fuori. E con le cliniche private cui si concede di sforare sul tetto di interventi concordati pur di fare arrivare, fare arrivare. Acchiappa, acchiappa.
Accordi bilaterali: limite di rimborso. Un tetto che dovrebbe consentire alla Puglia di risparmiare 70 milioni l’anno da impiegare in casa, con tutto quello che c’è da fare. Non un intervento sulla libertà di cura di ciascuno, ma più mezzi a disposizione. Con le strutture locali autorizzate all’extra-tetto, più ricoveri consentiti come fanno altrove. Ma lasciando sul territorio risorse spesso anch’esse emigrate per concorrenza sleale. Specie in tempi di autonomia differenziata, col miraggio di regioni di serie A e regioni di serie B che rischia di far fuggire anche i medici.
Invece di fare ciò che un Paese serio (e non ineguale) dovrebbe: mandare i medici dove servono, non fare andare i pazienti dove serve ai medici. Una rete sovraregionale che si sposti secondo i bisogni di assistenza, non secondo i bisogni di business (e lo dice un medico stesso come Filippo Anelli, il barese presidente dell’Ordine nazionale)
(P.S. Tutto questo non giustifica liste di attesa infinite. E non giustifica un’organizzazione della sanità in Puglia che vede reparti modello e reparti dai quali si vorrebbe solo scappare. Perché?)