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Sanità e scandali, il sogno tradito che resterà tale

 
Roberto Calpista

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Roberto Calpista

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In tutto il mondo, il settore sanitario è considerato uno dei più esposti al rischio di uso improprio delle risorse pubbliche, in Italia lo è di più

Sabato 09 Luglio 2022, 15:27

Il ministro britannico della Sanità, Matt Hancock, lo scorso anno annunciò le dimissioni dopo la pubblicazione sul tabloid Sun delle foto di un suo abbraccio con l’amante, Gina Coladangelo. Hancock era sotto tiro non per «la vicenda personale», ma per aver fatto assumere alcuni mesi prima la donna come consulente e violato le regole Covid: l’abbraccio immortalato risale al 6 maggio 2021, quando le norme anti-contagio imponevano ancora nel Regno il distanziamento da persone non conviventi o estranee alla cerchia familiare. Mesi prima dello scandalo, l’opposizione laburista aveva chiesto che venisse fatta chiarezza sul reclutamento della Coladangelo come consulente privata per il National Health Service, il servizio sanitario nazionale.

Una storiaccia che fa pensare. In tutto il mondo, il settore sanitario è considerato uno dei più esposti al rischio di uso improprio delle risorse pubbliche, in Italia lo è di più e per due motivi: perché è da tempo parte integrante dei tentacoli della politica, ma anche perché nessuno si dimette mai. Le notevoli dimensioni della spesa, la necessità di complessi sistemi di regolazione non sono che alcuni dei fattori che lo rendono un terreno particolarmente fertile per abusi di potere, interessi privati, guadagni indebiti, distrazioni di risorse, frodi, comportamenti opportunistici, corruzione e, per non farci mancare nulla, anche abusi a sfondo sessuale. Un misto fritto di azioni tutte caratterizzate da posizioni di potere che se ne infischiano delle esigenze dei cittadini, a maggior ragione se ammalati, soprattutto se senza santi in paradiso.

Il costo stimato della corruzione nel sistema sanitario italiano supera ampiamente i 20 miliardi di euro, senza contare i costi indiretti dovuti all’impatto che una perdita di tale rilievo, in termini di efficienza economica di un servizio che investe essenzialmente denaro pubblico, ha sulle altre dimensioni dell’economia nazionale.

Quindi? Restiamo in Puglia, a quanto le cronache ci stanno vomitando addosso in questi giorni, a quanto è accaduto in un passato recente e meno recente, allo stato in cui si trova la nostra sanità pubblica, una delle peggiori in Italia. La formula è di rito, ovvero fino a condanna definitiva c’è sempre la presunzione di innocenza e ovviamente «confidiamo» nell’operato della magistratura. Ma scoprire vecchi tromboni e trombati della politica ancora attivi nella rete delle relazioni che contano, nei soliti immortali potentati, un po’ di schifo lo provoca. Scoprire, anzi pur solo sospettare che ci sono donne che vanno a letto con qualcuno in cambio di un posto di lavoro, o uomini che per andare a letto con qualcuna promettono un posto di lavoro, comporta voltastomaco.

Ed è chiaro che queste situazioni sono frutto di una politica (di destra e sinistra, o sempre più di destra e sinistra insieme), basata sui bilanci e sui favori, sul malinteso senso dell’amministrare la cosa pubblica come fosse Cosa nostra. Oggi si grida allo scandalo per sporcizia, incuria, abbandono e tutti i responsabili scaricano le proprie colpe. Ci si dimentica del perché si è arrivati a toccare il fondo con la mercificazione e la lottizzazione. Eppure non si chiede la luna. Si sogna un ospedale dove al pronto soccorso non ti abbandonano per ore su una sedia scassata; che se hai un problema urologico, non ti visita un otorino e le liste di attesa fanno riferimento quanto meno alla durata media della vita umana. Sogniamo una sanità equamente distribuita sul territorio e che non ignori l’esistenza di un posto, il Gargano per esempio, con tre milioni di turisti «spalmati» nei mesi estivi che hanno come unico rimedio a malori e incidenti le preghiere a San Pio. Sogniamo una sanità, in cui giovani studenti di medicina figli di contadini abbiano opportunità identiche ai colleghi con il cognome uguale a quello di taluni titolari di cattedra; e lo stesso accada per le scuole di specializzazione. Sogniamo una sanità in cui assessori, commendatori, i «lei non sa chi sono io», abbiano gli stessi diritti ma anche lo stesso trattamento del povero Cristo e che la telefonata al primario o al manager resti senza risposta.

Una sanità in cui i concorsi si vincono perché si è in gamba, punto. Una sanità che se deve costruire nuovi ospedali, stabilisce tempi e costi e li rispetta. Una sanità che non pianga sul latte versato se i fondi arrivano col contagocce, ma poi i «capoccia» non li spendono o li spendono male, rubandone un po’. Sogniamo una sanità in cui lo sdegno generale per gli scandali e quello quotidiano per i disservizi del «povero chi capita» vadano nella direzione di un cambiamento radicale. Sogniamo, appunto.

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