Il 9 aprile 1945, in una calda mattina primaverile, mentre nel porto di Bari una miriade di operai e scaricatori si avvicendavano nelle operazioni di sbarco dei rifornimenti dalle numerose navi alleate ormeggiate alle banchine, una intera nave carica di munizioni, per motivi mai del tutto chiariti, esplose nel gran porto.
La città sino ad allora aveva sopportato con abnegazione cinque lunghi anni di guerra e stava intravedendo la fine delle sue indicibili sofferenze. Privazioni di ogni genere, dalla mancanza di viveri, ai bombardamenti subiti con la perdita di centinaia di vite umane e, con l’arrivo degli Alleati, la sistematica requisizione delle abitazioni da parte delle truppe occupanti ed il conseguente sfollamento di molti residenti baresi nei comuni limitrofi oltre al coprifuoco, misura deprimente che incideva in maniera gravosa sul morale dei baresi.
Alle ore 11:57 di quel terribile giorno, mentre la vita riprendeva sia pur lentamente e i giovani studenti affollavano le poche scuole rese nuovamente agibili, la nave statunitense Charles Henderson, mentre era ormeggiata alla banchina n.14 del gran porto di Bari, esplose improvvisamente seminando attorno a sé distruzione e morte.
In pochi istanti centinaia di vite umane, in prevalenza lavoratori portuali e saltuari, trovarono la morte e della nave non restarono che pochi relitti informi sparsi qua e là nell’ambito portuale. Morirono nell’esplosione della nave statunitense 371 operai e 57 membri della sfortunata nave americana, causando, altresì, 540 orfani oltre a 598 feriti mentre le famiglie obbligate a trasferire la propria casa dichiarata inabitabile, in particolare quelle del borgo antico, furono 938. Alcuni lavoratori della Compagnia Portuale Nazario Sauro che lavoravano sulle banchine allo scarico di altre navi morirono affogati in quanto investiti da una enorme ondata che si generò all’interno della darsena di Levante a causa dell’esplosione e scaraventati in mare. L’onda d’urto, inoltre, produsse in città e in particolare nel borgo antico il crollo di molte fatiscenti abitazioni e, in un raggio di diversi chilometri una generalizzata rottura dei vetri di centinaia di abitazioni le cui finestre per molti giorni rimasero prive di protezione.
La compagnia di Bari interna della Legione Territoriale Carabinieri Reali comunicava tempestivamente che risultavano accertati 267 civili morti nonché 103 militari feriti e 1724 civili tra cui leggermente anche il prefetto.
Nel porto l’esplosione produsse la completa distruzione della banchina n.14 e del relativo impianto ferroviario; inoltre andarono completamente distrutte le tre gru elettriche, le uniche in grado di consentire il celere sbarco delle merci oltre ai magazzini merci in muratura adiacenti.
L’ingegnere capo del Genio Civile Giuseppe Geraci, così descrisse la scena apocalittica che gli apparve dopo il suo sopralluogo: «Vari spezzoni della sovrastruttura della nave del peso di qualche tonnellata, furono disseminati per un raggio di qualche chilometro, provocando non pochi danni agli edifici della zona portuale, mentre spruzzi di nafta provenienti dai doppifondi del piroscafo furono proiettati così lontano da raggiungere i sobborghi della città. I vetri delle case, a notevole distanza dal porto, andarono violentemente in frantumi, determinando numerosi feriti e parecchi morti tra la popolazione civile. Porte e finestre furono divelte come fuscelli sotto la furia dello spostamento d’aria, disseminando le vie di un impressionante groviglio di macerie, rendendo difficile la circolazione della gente che, presa dal panico, correva come pazza alla ricerca di un qualche sicuro rifugio. Del piroscafo Charles Henderson che pochi minuti prima dominava con la sua potente mole la scena della calata, non restavano che due enormi spezzoni: la prua che era stata proiettata in avanti ed era andata a conficcarsi profondamente nel muro di sponda del molo antistante e la poppa ridotta ad un ammasso informe di ferraglie appena affioranti dalle acque. Della parte centrale dello scafo, in corrispondenza delle stive e dell’apparato motore, non si scorgeva alcuna traccia.
Il muro di sponda, dove trovavasi attraccata la nave per una lunghezza di 75 metri, era del tutto sparito ed anche la calata corrispondente denominata appunto n.14, per una analoga lunghezza e una profondità di 25 metri era saltata in aria: al suo posto si vedeva soltanto un laghetto per l’invasione delle acque marine nella voragine provocata dallo scoppio. Del grande capannone per il ricovero delle merci in transito, ubicato sulla banchina, del binarione di riva per la manovra delle grue di scarico e di tre potenti grue meccaniche, ivi operanti, non restava alcun segno.
Un terrificante quadro di devastazione e di morte, un ammasso caotico di macerie di ogni sorta, di grossi blocchi di calcestruzzo e di travate disseminate qua e là, che con le loro scheletriche sagome conferivano alla scena un’impressionante visione apocalittica».
Come conseguenza dell’esplosione il p.fo Lucia C., ormeggiato accanto alla Henderson, s’incendiò ed ebbe numerosi caduti e si salvò da una possibile esplosione grazie all’intervento della Brigata del fuoco barese. L’incendio di questa nave carica di materiale altamente infiammabile fu domato grazie anche agli sforzi del vigile Biggi Agostino della Brigata del Fuoco che intervenne in un’atmosfera irrespirabile per lungo tempo esponendo con audacia la propria vita al grave pericolo che minacciava la stessa esistenza della nave, evitando una seconda sciagura ed altro spargimento di sangue.
I vigili del fuoco accorsi tempestivamente sul luogo del disastro furono elogiati dal comandante della 54° area americana titolare dell’inchiesta inerente l’esplosione della Charles Henderson «essendo stati coraggiosi e saldi».
Il Comando Militare Territoriale intervenne immediatamente subito dopo l’esplosione. Il giorno stesso del sinistro la Direzione di Sanità avviò al porto 8 autoambulanze con un ufficiale, per la raccolta dei feriti militari e civili che furono distribuiti ai vari ospedali militari cittadini in quanto le cliniche universitarie furono rapidamente saturate dall’afflusso dei feriti raccolti con automezzi alleati. Contemporaneamente, a cura della 9^ sezione disinfezione, e della 9^ compagnia di sanità furono raccolti al porto e trasportati al cimitero i primi 198 cadaveri. Gli automezzi per il trasporto furono forniti dagli alleati mentre il materiale disinfettante fu preso dalle scorte del Comando Militare. Tutto ciò avveniva mentre per le strade la gente correva all’impazzata in preda al panico, ed il grigiore del tempo formava come un incubo nell’animo di tutti e mentre dall’alto continuavano a piovere schegge di ogni sorta di materiali.
la Gazzetta del Mezzogiorno con associazioni, enti e semplici cittadini, subito si prodigò promuovendo una sottoscrizione indetta dal Comune a sostegno delle vittime dell’esplosione della nave.
Nei giorni successivi le manifestazioni di solidarietà in città furono numerose: il 12 il Principe di Piemonte giunse a Bari e visitò gli ospedali Maria Josè (ex scuola Mussolini), l’ospedale Università, l’ospedale Balilla e l’ospedale Carlo Del prete. Il giorno successivo l’E.I.A.R. organizzò uno spettacolo al Piccinni che fruttò un utile netto di 87 mila lire mercè la collaborazione gratuita offerta da tutto il personale con i complessi orchestrali di Radio Bari con la partecipazione del soprano Anna Faraone, dell’attore comico Nino Lembo e del cantante Michele Montanari. La sottoscrizione produsse una raccolta di sei milioni circa cui partecipò anche l’Associazione Sportiva Bari, con il suo presidente Tommaso Annoscia - che contribuì con la somma di L.21.184 alle offerte per i sinistrati - organizzando una partita di calcio il 24 giugno successivo.
Pochi giorni dopo il II conflitto mondiale ebbe termine. L’opera della ricostruzione fu avviata e, lentamente, la città iniziò a rimarginare le sue ferite.
Rimane ancora oggi in molti cittadini baresi, indelebile, il ricordo oralmente tramandato di quel mezzogiorno di fuoco e di distruzione che legò, questa volta per sempre, il nome di una nave venuta da lontano, la Charles Henderson a quello millenario dell’antica città di San Nicola.
Il suo equipaggio, composto di civili e militari, caduto nell’adempimento del dovere, riposa nella nostra città nello storico cimitero cittadino insieme ai lavoratori baresi.
Il relitto della Charles Henderson, ancora pericoloso in quanto al suo interno erano presenti munizionamenti di ogni tipo, compresi quelli chimici, rimase abbandonato nel porto per alcuni anni e fu recuperato dalla FINSIDER a seguito dell’intervento del Comando Militare Marittimo di Brindisi che dispose il recupero di ciò che restava della nave nel marzo 1948.
Ciò che resta a distanza di oltre settant’anni di quella drammatica giornata, che rimarrà per sempre impressa nella storia della città di Bari, è una tomba comune nel nostro camposanto ove giacciono i poveri resti anonimi dei Caduti statunitensi, unitamente a quelli irriconoscibili dei tanti lavoratori italiani e, al porto, un monumento che ne ricorda il sacrificio. I primi, inconsapevolmente immolatisi nella città di San Nicola, ambasciatori di quell’idea di libertà e di democrazia che nobilmente il Nuovo Mondo ha voluto indicare alle nazioni della vecchia Europa dopo secoli di guerre disastrose e spesso fratricide; i secondi, caduti per la ricerca di quel benessere tanto desiderato dopo un lungo periodo di sacrifici e una guerra non voluta e che andava concretizzandosi proprio nel duro lavoro quotidiano, a fianco degli Alleati liberatori.

Pasquale Trizio racconta il 1945 a Bari: l'esplosione, la paura, il disastro
Sabato 10 Aprile 2021, 10:30