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L’uomo pesce e la sua sirena

 
Margherita De Napoli

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Margherita De Napoli

L’uomo pesce e la sua sirena

Sabato 15 Maggio 2021, 16:35

Mi ero sempre sentito come un pesce fuor d’acqua. L’aria non era il mio elemento, l’avevo capito fin dai primi attimi in cui mi trovai in questo strano mondo. Anche la mamma si era accorta subito di questo malessere e mi vedeva felice solo quando potevo sguazzare, tuffarmi dentro quel meraviglioso fluido. Se ne ero lontano per troppo tempo m'intristivo e a volte boccheggiavo come se mi mancasse... l’acqua. Spesso m'incantavo davanti alla boccia di vetro dove c'era il nostro pesciolino rosso, volevo pinne e squame, sognavo una vita da pesce.

Divenni sempre più insofferente fin quando con i miei genitori ci trasferimmo lungo un'insenatura lambita dal mare. Per la prima volta mi sentii finalmente a casa. Tornai a scuola dove tutti sapevano di questo mio amore e mi prendevano in giro: «Ma tu sposerai una sirena?». E scoppiavano a ridere. Durante le interrogazioni mi sussurravano: «Sei fritto».
La fantasia per burlarsi di me certo non mancava ed io li facevo divertire, in fondo erano dei «merluzzi»!
Un giorno accadde un fatto che cambiò  la mia vita.

Era un periodo di siccità, soffrivo per quel caldo e invocavo un po’ di pioggia, quel disagio mi spingeva a cercare, cercare...
Guidato dall’istinto seguii un lievissimo profumo d’acqua che mi attirava irresistibilmente. Convinsi i miei amici a seguirmi e insieme ci dirigemmo oltre la città, verso una zona periferica usata come discarica. Che squallore! L’ambiente come un’enorme pattumiera, povera natura, maltrattata fino a questo punto! 

Camminammo ancora verso la campagna. Il mio fiuto ci condusse ad uno spiazzo, le mie mani erano percorse da una strana energia. Gli amici mi guardavano stupiti e non capivano, in verità non capivo nemmeno io nulla, ma ero lì e sentivo che stava per accadere qualcosa.
Ci mettemmo a scavare, tutti presi dall'euforia di quel momento speciale.
Il sole arrossava il cielo, noi quattro sembravamo dei cani da tartufo. Ero contento perché finalmente eravamo complici in quella strana avventura.

Dopo un po’ ci accasciammo con i polpastrelli sbucciati. Il morale, sotto i piedi.
«Ma cosa stiamo cercando?» - chiesero - non riuscivo a dare nessuna risposta.
D’un tratto il più piccolino disse: «Piove, una goccia mi è caduta sul naso».
Alzammo lo sguardo, non c'era nemmeno una nuvola eppure ci stavamo bagnando. Ci girammo verso la buca che avevamo scavato... che meraviglia! L'acqua zampillava come da una fontanella. Ci demmo la mano e cominciammo a ballare e a saltare attorno al piccolo fossato. Improvvisamente ci fu un attimo di silenzio, mi guardarono e dissero quasi in coro: «Hai trovato l’acqua, sei un mago, un chiromante, anzi, come si dice, un rabdomante».

Toccavo il cielo con un dito, non ero più una triglia per loro, ero una specie di eroe. «Dobbiamo dirlo a tutti che sei un rabdo...che?». Pezzetto, il piccolo della compagnia, incespicò in quella parola.
«Rabdomante! Una persona che trova l'acqua». Scoppiammo a ridere.
Ero stupefatto, non avrei mai immaginato che il mio malessere si sarebbe trasformato in fortuna. Trotterellandomi intorno dicevano: «Sarai ricco, ricchissimo».

Così fu, divenni popolare.
All’ inizio sembrò di vivere in una favola, circondato da ammiratori, curiosi. Viaggiai, visitai zone del Pianeta che non avrei mai sognato di vedere. Scoprii però terre bruciate dal sole, terre povere. Le popolazioni si aggrappavano a me sperando che estraessi dai loro terreni l'acqua che avrebbe ridato la vita, era il loro oro.
Nel nostro mondo l’acqua è sprecata, l’abbondanza toglie valore alle cose.
Noi possiamo dissetarci quando vogliamo, apriamo il rubinetto e l'acqua scorre. E’ una grande fortuna e non ce ne rendiamo conto. Io ero giovane, cosa potevo fare?

Con la mia bacchetta che vibrava vicino ad una falda acquifera, cominciavo a sentirmi piccolo piccolo. Volevo fuggire.
Nel mio paese ero un mito, «Fish man», l’uomo pesce, mi attendevano da trionfatore. Finalmente tornai nel mio mondo, ma ero cambiato dopo quella esperienza. La gioia della partenza si era trasformata in amarezza. All’aeroporto mi corsero incontro i miei amici: "Dai, raccontaci la tua straordinaria avventura!«Io non volevo e mi allontanavo. Ormai mi conoscevano bene, capirono che qualcosa non andava anche dai miei occhi tristi».
-Sarà stanco, lasciamolo solo- pensarono.

Per qualche giorno rimasi immerso in uno strano torpore e i miei, preoccupati, chiamarono un dottore esperto in malattie tropicali. Lui li tranquillizzò: «È lo
stress dei fusi orari».

Ero irrequieto e l’unica via per placare quel maremoto di sensazioni era andare vicino ai corsi d’acqua, avevo bisogno dell'abbraccio della Natura. Con i nostri comportamenti la distruggiamo: diciamo di amare il verde invece i giardini nelle città sono abbandonati, diciamo di amare il mare mentre lo inquiniamo. Avevo tanto desiderato essere un pesce, sognavo la libertà che solo il mare poteva darmi.

Ora ero davanti a lui, deciso a lasciarmi cullare dalle sue onde fino ad addormentarmi.
Mi tolsi gli indumenti di dosso e scivolai nell’acqua, era tiepida e mi accarezzava.
Un formicolio cominciò a scorrere sulla mia pelle, mi sembrava di volare... no, non poteva essere vero. Le mie mani, le mie gambe non c’erano più, mi riempii di squame e al posto delle braccia, le pinne. Ero un pesce e laggiù sul fondale marino, seduta su uno scoglio, c’era la mia sirena che mi aspettava.

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