BARI - «Una volta lo chiamavo mister, ora è Beppe, un caro amico». Michele Marcolini sceglie il modo più originale per descrivere Iachini. L’ex calciatore biancorosso (quattro stagioni in A con i Galletti dal 1997 al 2001 con 86 presenze e cinque gol: oggi è ct di Malta che lo scorso 14 ottobre ha affrontato l’Italia al San Nicola) ha lavorato con il tecnico marchigiano nel 2007-08: vincendo il campionato di B con il Chievo. «Sono passati 15 anni, eppure è rimasto un rapporto bellissimo, saldo, di grande stima. È impossibile contare quanti calciatori avrà allenato Iachini, ma lui è una persona che lascia il segno sul piano professionale e umano. E penso che sia la dote più bella da sottolineare. Sono convinto che si sia tuffato nell’avventura a Bari con il massimo entusiasmo: sì, può essere l’uomo della svolta non soltanto nella stagione attuale, ma anche per il futuro».
Partiamo dalla vostra comune esperienza al Chievo Verona: che stagione fu?
«Centrammo una grande impresa in uno dei torni di B più complessi di sempre, tallonati fino in fondo da Bologna e Lecce. Eppure, arrivammo primi con un turno d’anticipo: riportare il Chievo in A dopo un solo anno di “purgatorio” non è certo un’impresa scontata. Eravamo una squadra a trazione anteriore e lui ne assecondò l’anima, pur essendo un tecnico che tiene moltissimo agli equilibri difensivi. Cambiò anche le mie mansioni: anche se avevo già 33 anni, mi trasformò in una mezzala d’inserimento: segnai sette gol, il mio record in carriera. Mi dispiacque perdere una guida così preziosa: io rimasi al club veneto, lui vinse un altro campionato di B, al Brescia».
Quali sono le principali qualità di Iachini?
«L’intuito, senza dubbio. Sbaglia chi parla di un tecnico pratico o, come si dice adesso, “risultatista”. Io l’ho capito quando ho iniziato ad allenare: tutti abbiamo delle idee di un calcio spettacolare, ma quando entri in un gruppo tutto resta sulla carta. Devi capire immediatamente quale materiale umano e tecnico hai a disposizione, quali peculiarità devi privilegiare, come esaltare le caratteristiche dei tuoi calciatori. Ecco, Beppe in questo ha pochi rivali: comprende a volo dove mettere mano e trova velocemente la migliore formula possibile da adottare».
Si parla di un sergente di ferro, eppure a Bari in pochi giorni è sembrato entrare in sintonia con un gruppo che sembrava sfiduciato…
«Non ho dubbi: la gestione dello spogliatoio è un’altra sua grande qualità. Iachini non lascia nessuno indietro: parla con tutti e soprattutto concede ad ogni elemento le opportunità per essere utili. Però sul lavoro non transige: pretende rispetto. Con lui si corre tanto e si “studia” moltissimo: in quelle ore devi dedicarti totalmente. Però quando arrivi alla partita, hai puntualmente le idee chiare sui tuoi compiti».
Iachini ha scelto il Bari per un progetto vincente: mica facile «dettare condizioni» alla famiglia De Laurentiis…
«Penso che in realtà anche la proprietà biancorossa punti in alto: in una piazza del genere non puoi aspettare. Poi è scontato che Iachini, per trascorsi, imprese e curriculum, sia in un momento della carriera in cui può scegliere la situazione più confacente alle sue ambizioni. Lavorare a Bari è meraviglioso: la piazza ti trascina, si vive di calcio. Quello che è mancato è la continuità nel massimo campionato. Quella che proprio noi trovammo con Fascetti restando sul palcoscenico più prestigioso per quattro anni di fila e retrocedendo proprio quando pensavamo di compiere il definitivo salto di qualità. Basti pensare che su un organico di qualità avevamo un certo Cassano in rampa di lancio…Pensate, quindi, quanto può essere gratificante per un tecnico portare una realtà così blasonata ad alto livello: è una sfida che di certo lo affascina. E lui saprà farsi voler bene dai baresi perché non è soltanto un professionista impeccabile, ma anche una persona che trascina, uomo passionale».
Lei pensa che al Bari possa riuscire un exploit già in questa stagione?
«La rosa vale sicuramente i playoff: gente come Di Cesare, Puscas, Menez rappresenta un valore aggiunto. Il campionato, però, è stato un po’ altalenante: ora si deve pensare ad un match alla volta, scacciando innanzitutto i brutti pensieri. Ma se la squadra troverà un assetto stabile e prenderà entusiasmo potrà sicuramente ambire a rientrare tra le prime otto. E una volta lì tutto può succedere…».