Vincenzo Vivarini è uomo troppo intelligente per non sapere che il Bari resta un «ammalato» grave e che il pareggio ottenuto nel recupero di Castellammare di Stabia, pur importante e con in dote qualche indubbio progresso sul piano della sostanza tattica, cambia poco nel giudizio generale di una squadra che resta zavorrata da limiti evidenti. Un’iniezione di fiducia, certo. Un inno alla speranza, perché no? Un impercettibile raggio di luce dopo il buio pesto a Empoli, in una delle giornate più imbarazzanti della lunga storia biancorossa.
Non è una «bischerata» sostenere che il Bari visto nel primo tempo a Empoli sia stato decisamente superiore a quello visto giovedì sera al «Menti». Più pericoloso e, soprattutto, in grado di ridurre al minimo il tasso di pericolosità degli avversari. Fino al gol di Guarino e al crollo di quello che resta un castello di sabbia. La differenza è tutta qui, anche se oggi può sembrare una forzatura a caccia del bicchiere mezzo vuoto. La realtà è che quel gol l’avrebbe meritato anche la Juve Stabia, anzi decisamente pioù dei toscani allenati da Dionisi. Le «vespe» hanno usato ritmo, aggressività fino a produrre un modo di stare in campo molto compatto, con linee vicine e reparti molto solidali. Col Bari che ha scelto di stare a guardare. E, forse, ha fatto anche bene alla luce degli attuali limiti, anche mentali, e dell’abilità stabiese nella transizioni e nello sfruttamento della profondità grazie a due «cavalli» come Gabrielloni e Candellone. A Vivarini, nessun dubbio, non piace un calcio conservativa. Ma la sua è una scelta improntata al realismo e al buon senso. Premiata da risultato, mai un dettaglio.
Col punteggio in parità all’intervallo era normale che qualcosa potesse cambiare. Dal calo della Juve Stabia, complice qualche discutibile cambio di Abate (perché fuori Leone, un regista con i fiocchi che ha la dote, assolutamente non comune, di saper pensare e giocare in verticale?), alla crescita nel palleggio di un Bari parso più attento anche nei duelli a tutto campo. Una partita diversa, maggiormente equilibrata nonostante siano stati sempre i campani a fare qualcosa in più, anche alla voce contabilità delle occasioni (su tutte il palo di Mosti). Negli occhi di chi ha la forza di pensare positivo restano soprattutto le immagini di una ripresa in controtendenza rispetto alla vergogna in quel di Empoli.
Occhio, però. Conta tutto, soprattutto la capacità di leggere le cose con distacco e lucidità. Aspettando una partita, lunedì pomeriggio (fischio d’inizio alle 17,15) al «San Nicola» contro un Pescara che sta facendo tantissima fatica come sa bene l’esonerato Vivarini, che dovrà fornire qualche informazione in più. Innanzitutto cambierà lo spartito. Toccherà al Bari fare la partita, aggredirla, indirizzarla, «muoverla». Ed è chiaro che cambi tutti rispetto allo spirito conservativo visto a Castellemmare. Un conto è occupare gli spazi facebdo densità. Altro è garantire un credibile sviluppo del gioco che porti a un accettabile tasso di pericolosità. Anche in Campania, come già era accaduto ad Empoli, la fase offensiva del Bari è stata nulla. E qualcosa dovrà pure voler dire, fino a prova del contrario.
















