di VALENTINO LOSITO
«In medio stat virtus», dicevano i latini. Ma non sempre è così. Sul sindaco di Torino, Piero Fassino, che ha alzato il dito medio, come una Santanchè qualsiasi, contro alcuni esagitati tifosi del Toro si è scatenata una bufera politico-mediatica. È accaduto alla commemorazione della tragedia di Superga in quel che resta dello Stadio Filadelfia.
Coro di insulti per il primo cittadino, reo di essere, tifoso juventino, con epiteti di grande spessore «gobbo di m….» e affini. Fassino ha incassato per diversi minuti, tentando di rintuzzare le provocazioni, ma quando è sceso dal palco ha affrontato i contestatori a dito alzato.
Una pagina non bella, nella lunga e spesso colorita storia del rapporto tra i politici e il tifo calcistico, che vanta tradizioni legate anche a nomi eccellenti tra gli inquilini del «Palazzo», in un Paese in cui il pallone è da sempre un formidabile veicolo di consenso politico-elettorale.
Per giustificare il suo tifo per il Milan di Silvio Berlusconi, il comunista Fausto Bertinotti ripete che «le squadre di calcio sono tutte dei padroni. E, se proprio devo scegliere un padrone, meglio uno che mi fa vincere il campionato». Una frase che gli juventini Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer e Luciano Lama avrebbero sottoscritto. La leggenda del pallone racconta che «Il Migliore» si rabbuiava se i bianconeri perdevano anche una partita amichevole e che tra una delle prime domande che rivolse ai suoi al risveglio dall’operazione dopo l’attentato, fu quella per chiedere il risultato della Juve.
Il trasversale, oggi si direbbe bipartisan, tifo bianconero lo univa a un acerrimo avversario politico: Giorgio Almirante. Il leader della destra italiana teneva nel suo studio il gagliardetto della Juve non lontano dalla foto di Benito Mussolini. Lo «tradì», come racconta Italo Cucci, una foto scattata nel suo ufficio di Palazzo del Drago: era appeso alla spalliera di un' alta poltrona di legno. Dovette confessare con un po' di imbarazzo il suo tifo per i bianconeri.
La Juve ha messo dalla stessa parte l' Avvocato Giovanni Agnelli e Luciano Lama. Domenica 5 ottobre 1980, ventiseiesimo giorno di sciopero alla Fiat, insieme ai presidi davanti ai cancelli di Mirafiori e ai cartelli preparati a mano al Lingotto e appesi ai tram, ci fu anche una manifestazione degli operai delle Carrozzerie di Mirafiori allo stadio comunale durante Juventus-Bologna. Luciano Lama, segretario della Cgil e grande juventino, definì l' Avvocato Agnelli «un padrone duro, spietato, ma un avversario di classe e un uomo d' onore».
«Romanisti, votate Evangelisti», così suggeriva lo slogan elettorale del braccio destro di Giulio Andreotti nei favolosi anni Sessanta. Il «Divo Giulio» aveva spinto il suo consigliere alla presidenza della Roma calcio, da qui gol e voti. Giorgio Spadolini e Sandro Pertini, rispettivamente presidente del Consiglio e Capo dello Stato, fecero a gara nello sventolare il tricolore durante il mundial azzurro in Spagna fino all’apoteosi della vittoria nella finale contro la Germania nel mitico stadio Bernabeu.
In quello storico 1982 l’Unità titolò «Meglio Rossi (il centravanti azzurro) che morti» un articolo in cui il sociologo Franco Ferrarotti, riprendendo un celebre slogan della sinistra (o, capovolto, della destra) evidenziava il completo, radicale rovesciamento di senso che aveva sempre regolato il rapporto fra politica e spettacolo calcistico.
Con la prima non più capace di creare entusiasmi e tensioni collettive e il conseguente riversarsi delle identità negate dalla politica in ambito sportivo. Il calcio come surrogato dell'identità nazionale frustrata e come risposta alla crisi della rappresentanza partitica.
Si sale sul carro del football per amore e per desiderio elettorale. Achille Lauro comprò Jeppson dall’Atalanta versando 105 milioni di lire tra acquisto e salario, l’operazione serviva al partito monarchico di cui il comandante era leader partenopeo. Il comunista Armando Cossutta si infiammava per l’Inter e il tifoso granata Bettino Craxi spinse Borsano dalla presidenza del Torino a un posto in Parlamento sotto la bandiera del Garofano. Vittore Catella, presidente bianconero, eletto deputato nelle liste del Partito liberale, inventò lo slogan per le vie di Torino: «Per una Juve più bella votate Catella».
Fu onorevole per meriti pallonari il centravanti romanista Amedeo Amadei con diciottomila voti di preferenza nelle liste della Democrazia cristiana.
Si è scritto anche di Mussolini e delle sue interferenze nella vita calcistica. In verità al Duce piacevano soprattutto il nuoto e il tennis al punto che, secondo leggenda, un giorno la sua vettura fu sfiorata dall’auto guidata da Fuffo Bernardini. Due poliziotti si recarono a casa del Dottore (laurea alla Bocconi nel ’28) per ritiragli la patente ma Mussolini decise di invitare a una sfida tennistica a Villa Torlonia l’audace guidatore e lo distrusse in due set.
Ma l’uso del calcio come strumento di propaganda e visibilità politica non è un «vizio» solo italiano. Se Mitterrand pose la Legion d’onore sul petto di Platini, l’erede Chirac ricevette all’Eliseo i campioni del mondo di Francia del ‘98 e dichiarò Zidane eroe nazionale. Re Juan Carlos di Spagna ha addirittura una squadra in onore del regno, il Real Madrid, assai vicina e cara al fu Francisco Franco. Il barricadiero presidente brasiliano Lula si emozionava davanti alla sfilata dei connazionali berlusconiani in rossonero, da Dida a Ronaldinho, da Leonardo a Pato e via ad andare. Anche gli algidi inglesi spesso sono scesi a patti con il sacro football, come quando il governo di Londra dette una consegna piena al mister italiano Fabio Capello per togliere la fascia di capitano allo sciupafemmine Terry.
Ceausescu junior, Valentin, si occupava dello Steaua di Bucarest per portare in alto il nome della patria e del partito, così come la base militante del Pci sventolò le bandiere rosse allo stadio Olimpico di Roma nella partita dell’Italia contro l’Urss nel Sessantatré, finita 1 a 1 con un gol di Rivera, futuro deputato.
Tra un mese scatteranno i Mondiali di calcio in Brasile: c’è da scommettere che la politica, che spesso scambia l’emiciclo del Parlamento per la Curva Sud, scriverà altre pagine di una storia non sempre memorabile. Specie se continuerà a promettere di estirpare la violenza dagli stadi continuando a sottostare ai diktat degli ultras, vero anti-Stato nella «Repubblica del pallone».