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La malinconia di un campano barese

 

Lunedì 25 Ottobre 2010, 17:05

02 Febbraio 2016, 22:27

di Raffaele Nigro

Avremmo dovuto organizzare un’antologica al castello di Bari per festeggiare gli ottant’anni di Benito Gallo Maresca, ma non c’è chi si occupi di pittura figurativa e il maestro ha accettato di presentare le sue ultime produzioni a Monopoli presso al galleria Centrosei. Nato a Boscotrecase, Gallo Maresca si è trasferito a Bari, dove ha insegnato e messo su famiglia. Ma c'è nostalgia per i colori della Campania, per i suoi panorami, per la propria giovinezza. E nostalgia per i maestri, Chiancone,Ciardo, Brancaccio. La malinconia delle figure che è la malinconia di Benito. Lo leggi negli eserciti di frutti radunati in piatti, vassoi e canestri, fioroni e mele e apoteosi di fiori secchi che rincorrono un bisogno di corporalità. La malinconia negli orridi delle gravine disposte a contrastare la luce metafisica dei fondali, i tanti carrubi che sottolineano con la presenza solitaria la solitudine delle campagne, le case rosse tra i trulli, i rossi pompeiani, una campagna un po' napoletana e un po' pugliese, mossa nei saliscendi delle colline, dei montarozzi, delle siepi. Il tratto sempre sintetico, la mano che procede per abbozzi, come       a rappresentare i cocci di una memoria ormai facile al tradimento.
PASSIONE. Gallo Maresca si esprime attraverso un neo impressionismo denso di passione cromatica. Dalla Campania ha portato con sè il gusto barocco per i pieni, la festosità dei vicoli e la malinconia pensosa della campagna napoletana. E' un uomo che ha attraversato tutte le esperienze artistiche, dalla figurazione plastica del realismo napoletano all'intarsio del corallo sulla costiera tirrenica, all'astrattismo, con un occhio sempre disposto al disegno dal vero quale imponevano i maestri di gioventù, Brancaccio, Chiancone,Ciardo, Casciaro.
Si comincia dalle mostre timide dell'immediato dopoguerra, quando i sogni pittorici di Gallo Maresca sono quelli della grande Europa di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento,Picasso, Matisse,Van Gogh e soprattutto Cezanne.
Gallo Maresca non riesce a frantumare la figura, il tratto realistico del paesaggio,della natura, del soggetto umano. Si sente piantato in quella esperienza pittorica        fatta di immediatezza e di spontaneità creativa e se viene tentato dall'astratto c'è un subito rientro nel solco.
La produzione di quegli anni è improntata a una vivace descrizione della vita di borgo, le sorelle che dialogano sotto il pergolato di casa,la controra, la chiacchiera, la frescura delle vele d'ombra. Tra elegia e ironia. La Bari che gli viene incontro è una città in progressione demografica e imprenditoriale. La città della Fiera del Levante, quella dell'immigrazione dalle campagne, la città che sul potere del cemento e della distribuzione dei prodotti industriali del polo lombardo va costruendo la propria fortuna. E, una città legata in qualche misura a Parigi dall'esperienza pittorica di De Nittis, dalla cultura di Ricciotto Canudo e del salentino Girolamo Comi, il centro di una Puglia da cui sono partiti per Milano Francesco Speranza, Domenico Cantatore e Raffaele Carrieri e dalla quale Gallo Maresca approderà alle gallerie "La Barcaccia" di Roma e alla "Gian Ferrari" di Milano. Sulla spinta dei nuovi amici baresi. La pittura di questi anni è divisa tra l'elegia della memoria e la passionalità della giovinezza. Nature morte e nudi, colori accesi, violenti. Una pittura che rispecchia pienamente la fisionomia interiore di quest'uomo, dolcissimo e affabile nei rapporti, ma vivace, giocoso, facile alla piena emozionale.
RETE. A Bari intanto si infittisce la rete di rapporti tra i colleghi di lavoro di quegli istituti d'arte che vanno sorgendo. Ospitati dal "Sottano" di Armando Scaturchio e poi dal premio del "Maggio di Bari", si vanno affermando Roberto De Robertis, Vincenzo Ciardo, Francesco e Raffaele Spizzico, Michele De Giosa, Guido Prayer, Onofrio Martinelli. E dopo di loro la seconda e la terza generazione,con Antonio Bibbò, Vito Stìfano, Adolfo Grassi, Gennaro Picinni, Filippo Alto, Benito Gallo Maresca. E' con alcuni di questi uomini che fonda la galleria "La Vernice", dalla quale passano i maggiori autori del Novecento italiano, da Attardi a Guttuso a Pirandello,la cui pittura è per Gallo Maresca "una rivelazione".E'presso "La Vernice" che il pubblico barese apprende la via del collezionismo, dalle tradizionali mostre del "piccolo formato".
Tuttavia, a periodi di intensa produzione il pittore di Boscotreccase alterna periodi di silenzio, in cui preferisce rintanarsi nello studio e dipingere, uno studio che è una bottega da rigattiere, dove si fa fatica a difendersi dagli animali impagliati, dai fiori secchi, dagli strumenti a fiato,dalle bottiglie, dalle lastre di rame e dai torchi per la stampa.
Così trascorrono in un fervore produttivo e poco rivolto alla promozione gli anni compresi tra il 1972 e il 90. Anni di intensa attività nei quali appaiono le goffe gibbosità dei pulcinelli e la scena si trasforma in un circo continuo, malinconico, triste e surreale, i colori sono sghembi, velati dalla polvere, anche nella tonalità infuocata. Anni in cui si intensifica lo scavo nei volti,negli sguardi e la figura è stravolta ora da smorfie caricaturali ora dalla pensosità. La giovinezza sta fuggendo, mentre le tele si caricano di erotismo il pittore si aggrappa a una stagione perduta, passione e decadenza, furore e lontananza nel tempo,lontananza della bellezza, dei luoghi di gioventù, della propria e della comune infanzia. Questa malinconia si disegna sui quadri di Gallo Maresca, e mentre si solleva la maschera appare una silenziosa infelicità, quel male di vivere che ha assediato tutto il Novecento.
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