Sabato 17 Aprile 2010, 15:47
02 Febbraio 2016, 21:41
di Giorgio Nebbia
In questo gran parlare dei mutamenti climatici, del riscaldamento provocato dalle attività umane, si inserisce di prepotenza un nuovo interrogativo: la massa di polveri e gas emessi da un vulcano, in particolare dall’eruzione vulcanica dell’Eyjafjallajkull in Islanda, nei giorni scorsi, farà cambiare le già tanto discusse previsioni sull’andamento del clima futuro?
Tale clima dipende dal fatto che la superficie della Terra ha una temperatura media - «media», non la temperatura estiva o invernale di Bari o di Rio de Janeiro - di circa 15° centigradi, una condizione sorprendente, unica fra tutti in corpi celesti che conosciamo. Chi ha voluto la vita sulla Terra ha deciso di piazzare questa massa di rocce nello spazio ad una distanza giusta dal Sole, fonte di calore, e ha circondato la Terra con uno strato di gas, l’atmosfera, capace di far passare la radiazione solare, di trattenerne una parte e di lasciare passare (reirraggiare) l’eccesso di calore verso gli spazi interplanetari che sono freddissimi, a circa 270 gradi sotto zero. 15 gradi è la temperatura che permette di conservare l’acqua allo stato liquido, condizione essenziale per la vita.
L’atmosfera, la superficie degli oceani e quella delle terre emerse, coperte da ghiacciai o da deserti o da foreste, in continuo movimento, scambiano fra loro sostanze chimiche ed energia; basta un piccolo cambiamento della composizione chimica dell’atmosfera per far cambiare anche di una frazione di grado la temperatura media terrestre e per far cambiare il clima, cioè la frequenza delle piogge, il riscaldamento o il raffreddamento di una zona o l’altra dei continenti.
Anche piccolissimi mutamenti del clima disturbano noi umani, ci fanno sbuffare se fa troppo caldo o mettere il cappotto se fa troppo freddo. Ma sulla scala planetaria siamo davvero insignificanti tanto che basta lo sfiato verso la superficie, di una piccola frazione della massa caldissima fusa che si trova all’interno della Terra, un’eruzione vulcanica, appunto, per alterare il clima. Nel risalire alla superficie della Terra il magma caldissimo interno trascina con se polveri e gas che si disperdono nell’atmosfera e vi restano talvolta per mesi o anni.
È stato Benjamin Franklin, quando era ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi, a osservare che l’inverno del 1874 era stato freddissimo e l’Europa sembrava avvolta in una nebbia e a riconoscerne la causa nelle eruzioni dei vulcani di Laki, in Islanda anche allora, come oggi. In quella occasione uscirono una ventina di miliardi di tonnellate di lava fusa e furono immessi nell’atmosfera polveri, anidride solforosa, acido cloridrico, trascinati a terra sotto forma di piogge acide che distrussero gran parte dei raccolti dell’isola.
Nella loro permanenza nell’atmosfera le polveri e i gas eruttati dai vulcani filtrano una parte della radiazione solare, provocando una diminuzione del calore solare in arrivo e quindi un raffreddamento della superficie terrestre. Tale raffreddamento si è verificato dopo le eruzioni del vulcano Tamboro nel 1815, del Krakatoa nel 1883, del Monte Pinatubo nel 1991.
È troppo presto per prevedere l’effetto di quest’ultima eruzione in Islanda; alcuni possono forse sperare che un raffreddamento del clima, dovuto al vulcano, possa compensare l’effetto di riscaldamento dovuto all’anidride carbonica e ai gas immessi nell’atmosfera dai camini e dai tubi di scappamento degli autoveicoli e dalle centrali elettriche a carbone o petrolio. Non c’è però motivo di rallegrarsi, si fa per dire, troppo. La massa di gas e polveri emessi da una eruzione, pur grandissima, è dell’ordine di centinaia di milioni di tonnellate, piccola rispetto ai 30.000 milioni di tonnellate di gas immessi nell’atmosfera ogni anno dalle attività umane.
Inoltre si tratta di un disturbo climatico limitato nel tempo perché le piogge trascinano al suolo questi componenti estranei dell’atmosfera la quale riassume, dopo qualche tempo, la composizione media precedente. Le conseguenze di un’eruzione possono essere gravi per le popolazioni vicine al vulcano, il disturbo delle polveri è grande per i trasporti aerei ma è localizzato ad una piccola parte della grandissima superficie terrestre.
Se occorre esprimere la solidarietà per le persone danneggiate da qualsiasi eruzione vulcanica, questo non ci esenta dal continuare a cercare di limitare le modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera provocata dai miliardi di piccoli «vulcani», rappresentati dai tubi e camini degli impianti e dei macchinari umani che sfiatano ogni giorno, tutto l’anno, le loro polveri e i gas provenienti dalla combustione del carbone e del petrolio, in tutte le terre emerse, intorno a ciascuno di noi e nell’intera atmosfera.