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La colpa e la vergogna dagli eroi greci a noi

 

Mercoledì 07 Aprile 2010, 18:10

02 Febbraio 2016, 21:38

di Giacomo Annibaldis

Quando agli inizi dei tempi Adamo ed Eva disobbedirono al comandamento di Jahvèh e mangiarono il frutto dell’albero del bene e del male, «colpa» e «vergogna» si impossessarono di loro. Si sentirono nudi, e cercarono di giustificarsi, addossandosi l’un l’altro la responsabilità della disubbidienza: l’uomo incolpò la donna, la donna incolpò il serpente. E fu quello il peccato originale.
Jahvèh confezionò all’uomo e alla donna un vestitino, mavia li punì; maledicendo il serpente.
È in genere a questo episodio del Genesi che si risale allorché si vuole discutere della nascita di concetti fondamentali come «colpa», «responsabilità», «vergogna» (confluiti poi nel dibattito sul «libero arbitrio»). E tuttavia nell’uomo occidentale - che pur non può non dirsi cristiano - il dettato biblico non è la sola matrice cui ricondurre la nascita di tali concetti. Alla loro formazione hanno contribuito notevolmente anche il mito e il pensiero greco.
Ed appunto a questo bacino di leggende e di dati attinge Eva Cantarella per risalire all’origine dei suddetti concetti etico-giuridici. La studiosa del mondo antico ci invita ad indagare lo stadio aurorale in cui essi andarono formandosi. E lo fa analizzando i poemi omerici dell’Iliade e dell’Odissea, che per il mondo occidentale antico - quello greco soprattutto - costituivano una sorta di «bibbia», cui ispirarsi. Gli antichi poemi possono fornire le giuste risposte.
La studiosa ripropone ora questa sua indagine nel volume «Sopporta cuore...». La scelta di Ulisse edito da Laterza (pp. 101, euro 10), nella collana «I libri del Festival della mente», appendice degli incontri che si svolgono a La Spezia. Il volumetto si situa sulla scia di altre opere della Cantarella, dai Supplizi capitali sulla pena di morte in Grecia (1991), a Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto (2002), al Ritorno della vendetta (2008).
Quando l’uomo - si domanda Eva Cantarella - ha acquisito la consapevolezza di poter decidere liberamente delle proprie azioni? Quando gli esseri umani, che si «sono sentiti in balìa di forze esterne, superiori, incontrollabili e invincibili, a cominciare dalle forze della natura» hanno percepito di potersi autodeterminare?
Nei poemi omerici ogni azione umana è preceduta da un’altra degli dei: due atti paralleli che tendono a confluire in un unico esito. Ma non è inconsueto che, nel discolparsi dei propri errori, gli eroi del mito accusino gli dei: perchè la loro influenza è a volte irresistibile. E forza irresistibile è soprattutto quella della dea Ate, colei che induce in errore anche le divinità dell’Olimpo, addirittura Zeus (è una dea «dai piedi molli» che si aggira e si muove tra le teste degli uomini; specie da quando Zeus non la scagliò via dall’Olimpo, definitivamente, tra gli uomini).
Insieme ad Ulisse - l’eroe complesso e «multiforme» - vengono convocati da Cantarella al dibattimento sulla «colpevolezza», anche Achille e Patroclo, il Ciclope, Agamennone, la bella Elena, che si definisce «cagna», eppure per Priamo è incolpevole... Sono loro, con le gesta e le parole pronunciate nei poemi, a guidarci in uno scenario, dove la «cultura della vendetta» è preponderante e in cui la «vergogna» sociale funziona come «uno strumento coercitivo potentissimo». Sono loro a farci percorrere l’articolato ambito dell’«involontarietà» dell’atto e della responsabilità materiale che si diversifica da quella morale.
Patroclo, ad esempio, da bambino ha ucciso, senza volerlo, un altro bambino «a causa dei dadi»; il suo gesto omicida veniva ritenuto involontario (noi lo diremmo non premeditato), dettato com’era da uno stato emotivo e passionale. Quest’ultima è vista come un’attenuante nella società omerica, inserita tra le cause «involontarie», assieme alla volontà divina, a un ordine superiore ricevuto, a una violenza fisica subìta, a una costrizione psichica.
Attraverso una «serie di successive elaborazioni di pensiero» il percorso dettato dagli eroi greci giunge a «una nuova visione che lega la responsabilità materiale a quella morale, ed esclude la prima ove non sia presente la seconda». E perviene alla definizione - per quanto in contesto apparentemente contraddittorio - di un individuo omerico influenzato sì dall’alto, che tuttavia si va liberando in «individuo che può autodeterminarsi». Benché - per quanto involontario sia stato il suo atto - chi ha sbagliato viene colpito come se avesse una «responsabilità oggettiva».
La percezione della propria libertà - conclude Eva Cantarella - è «il risultato di una faticosa presa di coscienza, una difficile conquista del pensiero che sta alla base e costituisce il presupposto di concetti etici e successivamente giuridici come “colpa” e “responsabilità”». E giunge - con le leggi di Dracone ad Atene, nel VII secolo - alla conquista di un fondamento giuridico, che limitava la pratica della vendetta. Da allora, chi commetteva un omicidio volontario veniva messo a morte; chi commetteva un omicidio involontario veniva esiliato.
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