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Tengo famiglia, a Pasqua non posso stare in isolamento

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

pasqua

Allora quest’anno è passato invano? Siamo condannati a vivere un tempo senza una prospettiva né un futuro?

Sabato 03 Aprile 2021, 14:53

BARI - Domani sarà la seconda Pasqua in isolamento. Sembra una contraddizione in termini. Pasqua che è la festa della resurrezione, della vita che ricomincia, e che coincide anche con il risveglio della natura, bisogna trascorrerla standosene tappati in casa. «Fatevi gli auguri per telefono, non andate a infettare gli altri», è stato il messaggio tv dell’assessore pugliese alla Sanità. Allora quest’anno è passato invano? Siamo condannati a vivere un tempo senza una prospettiva né un futuro?

No, Pasqua può rappresentare davvero il momento di «passaggio» - come è nell’etimologia del termine – dalla fase più acuta e letale della pandemia a una stagione in cui cominciare a riprendere le vecchie abitudini. A Pasqua 2020 eravamo senza speranza davvero, aleggiava cupo un senso di morte e di impotenza. Oggi no, ci sono i vaccini, sappiamo che funzionano e anche bene. Il problema da affrontare, semmai, è la fornitura a singhiozzo da parte delle aziende che, con qualche complicità, fanno il bello e il cattivo tempo.

Proprio perché la campagna di vaccinazione va a rilento, occorre mantenere ancora per un po’ quelle rigide misure di sicurezza che ci soffocano la vita. La mascherina, la distanza, niente abbracci né strette di mano, tanti contatti via web. Ancora per un po’ tutto questo è indispensabile.

Anzi, per qualche settimana sarà vitale un rispetto maniacale di ogni forma di precauzione. Primo, perché si potrebbero vanificare tutti gli sforzi fatti fino a oggi; secondo, perché riaprono diverse scuole e si moltiplicheranno le occasioni di infezioni. Non c’è dubbio infatti che pur con tutte le cautele possibili, il semplice fatto di portare i bambini a scuola, oltre che, farli stare in classe a contatto con altri bambini, costituisca una fonte di rischio in più. Visti i sacrifici compiuti, forse si sarebbe potuto aspettare una o due settimane per riaprire asili, elementari e medie. Ma il governo ha dovuto cedere alle pressioni di associazioni di genitori e dei politici che li assecondano. Non si sa se costoro abbiano agito nell’interesse dei figli o di se stessi, dato che è complicato vivere e lavorare con i pargoli tra i piedi. Dio non voglia, ma che succederebbe se in qualche scuola vi fossero contagi gravi con esisti estremi? Su chi sarebbe scaricata la responsabilità?

Questo tema è quello cui continuamente sfuggiamo. L’altro giorno il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, forse interpretando il pensiero di molti, ha detto che ci sono pochi controlli e quasi tutti affidati alle polizie dei Comuni. Un modo – ha sostenuto – per non esasperare ancor più gli animi in un contesto di diffuso disagio sociale. Non è una tesi peregrina ed è espressa nel momento in cui la situazione in Puglia è davvero preoccupante. Però sull’altro piatto della bilancia bisogna mettere i fatti. I dati del ministero dell’Interno dicono che nella sola giornata del 1° aprile sono state controllate 114.037 persone, 1.587 sono state sanzionate e 36 denunciate perché hanno violato la quarantena. Nella stessa giornata sono stati controllati anche 13.094 esercizi pubblici e 59 titolari sono stati sanzionati, 20 attività sospese e 2 esercizi chiusi. Nello stesso ordine di grandezza i dati dei giorni precedenti. Certo, si può fare di più, ma non si può dire che i controlli scarseggino, a meno che non si pretenda uno stato di polizia, con un carabiniere a guardia di ogni cittadino.

Senza contare poi che quando arriva la sanzione nessuno ammette la propria responsabilità: il vigile ce l’aveva con me, non stavo facendo niente mentre c’erano quelli che bevevano per strada; stavo andando dalla nonna sola e ho fatto una piccola deviazione e via con tutto il catalogo di giustificazioni che noi italiani siamo bravi a escogitare. In situazioni come quella attuale i controlli dovrebbero essere solo un deterrente teorico. Nella pratica dovrebbe essere il senso di responsabilità a trattenerci in casa e a farci adottare ogni cautela anti-contagio. Ma queste sono utopie in un Paese che, sostenuto dalla morale cristiana, non ha mai per davvero elaborato un’etica laica. Calato il senso religioso, ha preso vigore la morale del «tengo famiglia», come dimostrano le dichiarazioni dell’ufficiale di Marina scoperto a vendere segreti militari ai russi. Per altro – stando a quanto finora emerso – il compenso sarebbe stato di appena 5.000 euro. A quel prezzo forse ha passato solo il numero di cellulare di qualche fattorino del ministero.

Ma non è questo il punto, è che dire l’ho fatto per la famiglia appare come una valida giustificazione agli occhi di tanti. E così, violo la quarantena perché devo comprare il gelato a mia figlia oppure prendo la tangente sugli appalti per mantenere mio figlio agli studi all’estero. Assistiamo insomma a un rovesciamento del concetto di etica, dove scopi e mezzi si confondono e si scambiano fra loro in un gioco in cui alla fine prevale solo l’interesse personale. Allora bisognerebbe chiedersi: ci sono controlli e controllori per l’etica? Per fortuna no, ma non è detto che a qualcuno non potrebbe venire in mente di attuarli. Sarebbe anche quello un passaggio drammatico. Per ora viviamo e sfruttiamo al meglio questo «passaggio» che Pasqua potrà segnare verso la fine della pandemia.

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