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Michele De Feudis
23 Febbraio 2021
Orgoglio e pregiudizio. L’eroina peccaminosa Lolita Lobosco segna l’irruzione dell’immaginario di Bari nello spazio nazionalpopolare degli sceneggiati Rai. La fiction liberamente tratta delle opere della scrittrice Gabriella Genisi può aver diviso il pubblico (soprattutto barese), ma ha però centrato l’obiettivo di una produzione volta al pubblico della domenica sera: sedurre sette milioni e mezzo di spettatori, con il 31,8 di share.
La bellezza del paesaggio si è coniugata perfettamente con lo charme della protagonista Luisa Ranieri, e nel complesso risalta con semplicità l’anima di una città: il rapporto con il mare, la gastronomia etnica tra crudo e panzerotti, i modi di dire, il cameratismo femminile tutto improntato alla concretezza, una educazione sentimentale al pragmatismo. La musica di sottofondo è stata la magia dei luoghi, non una cadenza dialettale che ha fatto storcere il naso.
Orgoglio e pregiudizio. Come è stato per gli sceneggiati di Andrea Camilleri in Sicilia, l’affezione per il pubblico è connessa alla geografia dei luoghi, e a una visione meridiana dell’esistenza: i pranzi, le cene, le case, l’accoglienza, i proverbi, le abitudini. Le serie tv trovano forza nello scandagliare i costumi e i riti di una comunità. Il racconto di Lolita è anche questo e il pubblico lo ha apprezzato, al netto di certe legittime critiche.
In passato un racconto più meno vernacolare aveva caratterizzato la narrazione pubblica: era la serie tv di Toti & Tata, che con Filomena coza depurada fustigavano le mollezze della borghesia barese, anche grazie allo sguardo anticonformista del regista e autore Gennaro Nunziante. Ogni puntata era un saggio antropologico tra splendori e decadenza, cadenzato da «mateux» e «Eccheccos». E nessuno al tempo si scandalizzò, tanto che divennero un cult le maglie con le frasi celebri della telenovela barese, e recentemente Toti & Tata sono stati riproposti come brand identitario per spot e campagne addirittura di Puglia promozione.
Un certo tribalismo ha poi fatto anche irruzione nella politica: un claim della campagna elettorale da sindaco di Michele Emiliano era fondato sul «Cha’ffat Emilian», mentre anche Antonio Decaro, con uno spot nel quale compariva la renziana Maria Elena Boschi, spingeva sul tasto dell’identità semplice del popolo barese, tra sorrisi e focaccia.
Restando sul filo tra pop e politica, in tempi in cui non si riesce a praticare una attenzione alla parità di genere (se non strumentale o inutilmente ideologica), Lolita rappresenta una novella eroina femminile, con un personaggio pieno di sfaccettature e debolezze, e con un punto di forza: una chiara valorizzazione dell’intuito femminile nella risoluzione dei casi di cronaca affrontati. Lolita diventa l’archetipo di una donna coraggiosa, sul lavoro con la divisa e nella vita con il tacco 12, che non si smarrisce e alla fine trova sempre la soluzione adatta a rivolgere gli enigmi del suo mestiere.
Oltre orgoglio e pregiudizio. «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?»: il tic nannimorettiano è una delle chiavi per comprendere le forti critiche di una parte della città che si sente sminuita da una narrazione calibrata sul nazionalpopolare. Ai critici basterebbe ricordare che i tic della baresità popolare e noir impressionarono in positivo addirittura la platea del Festival di Berlino, nel 2000, con il film «Lacapagira». Vent’anni dopo Lolita riporta alla ribalta Bari, nonostante le tifoserie divise sulla produzione televisiva, ma unite nel riconoscere l’appeal della città in una vetrina nazionale.
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