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Perché serve l’Unione Europea della salute

 
Ennio Triggiani

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Ennio Triggiani

Tre proposte gelide verso l'Europa

Solo la solidarietà, come ha detto Papa Francesco, ci può indicare «la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali e sociali»

Giovedì 24 Dicembre 2020, 17:20

L’enorme salto di qualità prodottosi nel 2020 nel processo d’integrazione europea trova fondamento nel principio di solidarietà, inteso sia nei rapporti fra gli Stati membri sia fra i cittadini degli stessi. Sappiamo che in via generale tale termine esprime un “rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività nel sentimento appunto di questa loro appartenenza a una società medesima e nella coscienza dei comuni interessi e delle comuni finalità” (Treccani). Tradotto in termini giuridici, l’art. 2 della nostra Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Certo, la trasposizione di tale principio sul piano internazionale è invece molto più complessa, ma la nascita stessa delle Nazioni Unite si fonda sulla necessità di indurre gli Stati a considerare, oltre ai propri interessi domestici, anche quelli della comunità internazionale nel suo insieme. Ne è soprattutto espressione la Dichiarazione universale dei diritti umani (dicembre 1948) il cui merito è l’aver proiettato la tutela degli stessi al di là dei confini nazionali.

Inoltre, dopo altri numerosi trattati e convenzioni relativi ai diritti umani, la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite (settembre 2000) fa riferimento alla solidarietà come un valore fondamentale e, di conseguenza, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato nel 2005 una risoluzione in cui l’ha qualificata come un valore essenziale ed universale fissando il 20 dicembre quale Giornata internazionale della solidarietà umana.

Abbiamo potuto constatare in questi difficili mesi che la solidarietà si è proposta in maniera prorompente soprattutto nell’Unione europea. Sancita nel Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali (Nizza, dicembre 2000), essa emerge come ragion d’essere dell’intero processo d’integrazione e “valore o principio federativo”. Su questa base si è potuta realizzare la svolta storica con cui per la prima volta gli Stati membri hanno accettato di mettere in comune il proprio debito. L'Unione non solo ha scelto di risanare i danni derivanti dalla pandemia ma ha saputo cogliere l'occasione per gettare al contempo le fondamenta del suo futuro, con la Commissione destinata a divenire il maggiore emettitore sovranazionale di debito in Europa. Proprio l’esistenza di tale debito comune, da ripagare attraverso nuove forme di fiscalità, è palese espressione di interessi comuni e fondati su valori condivisi. Questi sono fondati sull’esistenza dello Stato di diritto al cui carattere imprescindibile si sono dovuti piegare, pur con qualche compromesso politico, i veti posti inizialmente da Polonia e Ungheria all’approvazione del bilancio pluriennale e del Next Generation EU.

Così, in pochi mesi si sono prodotti risultati inimmaginabili in un contesto internazionale nel quale soffiavano con forza venti sovranisti e populisti che, per quanto non siano certo scomparsi, sono stati severamente ridimensionati. Ma la crisi ha dimostrato, con chiara evidenza, che gli Stati, anche i maggiori, non sono in grado da soli di affrontare problematiche per loro natura sovranazionali.

Solo su questa base si comprende la nascita, oltre degli altri noti strumenti attivati, del Recovery Fund (the Facility), all’interno del Next Generation EU, dotato addirittura di sovvenzioni e non solo di prestiti, con l’introduzione di meccanismi sostanzialmente redistributivi tra gli Stati membri. E l’Italia ne sta ricevendo la fetta più importante (209 miliardi) anche se una cifra così significativa, di gran lunga la maggiore, non ci sarebbe stata attribuita se non fossero state tenute presenti le gravi condizioni economiche e sociali soprattutto del Sud italiano, attuali e tanto più future. Infatti, i criteri di ripartizione utilizzati sono stati popolazione, reddito pro-capite e tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni. Ecco perché il misero 34% del Recovery Fund, ipotizzato per il Sud nel nostro piano nazionale sulla base del mero criterio demografico (come ripetutamente sottolineato su queste pagine dal Direttore De Tomaso e da Lino Patruno), è in palese contrasto con quanto deciso; ed è evidente il ben diverso interesse della stessa Unione europea, diretto invece a superare i più accentuati squilibri di sviluppo nel Mercato unico.

Inoltre, un impegno di solidarietà emerge dalla sanità, pur non essendovi una specifica competenza dell’Unione in quanto la sua azione, secondo l’art. 168 TFUE, si limita a integrare le politiche nazionali e a sostenere la cooperazione tra gli Stati membri nel settore. Abbiamo infatti visto che, fra l’altro, la Commissione, nel quadro della sua Strategia per i vaccini, ha già stipulato 6 contratti, a nome degli Stati membri, per l’acquisto di centinaia di milioni di dosi di vaccino per un accesso equo e a prezzi abbordabili per le popolazioni negli Stati membri (non dico cittadini in quanto auspico che ciò avverrà per tutti i residenti anche terzi). Ma l’occasione della pandemia ha consentito alla stessa Commissione di lanciare il progetto di una vera e propria Unione europea della salute.

Per non parlare della importante linea di prestito del Pandemic Crisis Suppòrt, il cd. MES sanitario, la cui mancata richiesta da parte dell’Italia è tuttora indecifrabile pur conoscendosi lo stato della nostra struttura ospedaliera e territoriale, impoverita da anni di continui e irresponsabili tagli di bilancio. Come essa stia reggendo è un vero e proprio “miracolo italiano”!

In conclusione, questa splendida parola solidarietà indica altresì, come sottolineato da Papa Francesco lo scorso settembre, “la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia, verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali e sociali”. C’è speranza che lo si stia comprendendo.

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