Anche l’«epidemiologo» Flavio Briatore, scottato personalmente dal virus, s’è accorto di quanto idiota e pericoloso possa essere il rito della «covida», ovvero l’arte di infettarsi e infettare gli altri, girando di notte, assembrandosi, baciandosi, ballando, bevendo.
Il credo che muove questa smania incontrollata (nel senso che quasi nessuno controlla), potrebbe essere l’infelice uscita che ha reso celebre una siciliana, casalinga tutta unghie : «Non ce n’è di Coviddi».
I numeri dei contagi dicono altro, il Covid è vivo, uccide di meno probabilmente perché colpisce giovani asintomatici che difficilmente finiranno in ospedale, ma hanno buone possibilità di mandarci i loro padri e i loro nonni.
Quel che stiamo vivendo è il temporale che precede l’uragano. Il problema è che bisognerebbe correre ai ripari e invece ci si limita ad aprire l’ombrello, spesso ad aprirlo male.
Qui occorre una breve parentesi: ha fatto scalpore la notizia dei dodici medici e otto infermieri che al pediatrico «Giovanni XXIII» di Bari festeggiavano non si sa bene cosa (un ambìto pensionamento, un compleanno, future nozze, un divorzio?) con baci e abbracci e senza indossare le mascherine. Il direttore generale dall’azienda sanitaria, Giovanni Migliore ha parlato di «comportamento inaccettabile e assolutamente irresponsabile». Parole, beninteso, condivisibili. Il personale coinvolto rischierebbe anche una denuncia penale perché tra un brindisi e l’altro si sarebbe interrotto un pubblico servizio. Migliore ha ragione: «Noi dobbiamo dare l’esempio».
Ed è questo appunto un esempio delle storture provocate dal coronavirus, dal momento che di inaccettabile, nella sanità pubblica ci sono le liste di attesa, i reparti fatiscenti, i pazienti maltrattati, i letti privi di biancheria. È inaccettabile che molte indicazioni per i tamponi avanzate dai medici di base, in Puglia ma non solo, vengano prese in considerazione dai dipartimenti di prevenzione delle Asl dopo mesi. È inaccettabile che l’esito di un tampone - positivo - sia fornito dopo settimane.
È inaccettabile naturalmente che medici e infermieri si abbraccino senza protezione. È inaccettabile che eserciti di ragazzotti/e se ne vadano in giro bocca e naso scoperti senza che nulla accada. È inaccettabile che tanti, troppi adulti e «vaccinati», facciano lo stesso. È inaccettabile che il Viminale «specifichi» che chi fa sport non deve indossare la mascherina, chi fa attività motoria sì, gettando nello sconforto una buona metà dei già confusi italiani ora alle prese con un nuovo rebus burocratese.
È inaccettabile pur solo immaginare che sia meglio morire di Covid che di fame. È inaccettabile che sabato sera, in una Bari assai free, siano state fatte molte più multe ai monopattinisti (che pure quasi sempre se le meritano) delle 19 sanzioni agli untori «no mask».
Prendiamo la guerra, imminente, tra governo e locali pubblici. Importante sarebbe stabilire con precisione quale ruolo deve essere assegnato ai gestori, quali siano le responsabilità dei cittadini, quali presenze e interventi sono richiesti alle autorità, per consentire a chi ha voglia di divertirsi di riprendere i contatti sociali al riparo da ogni rischio. Vietare, in Italia, è facile; far rispettare i divieti è quasi impossibile, soprattutto quando regna la confusione. Come è impossibile pretendere che ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Troppo comodo configurare il nuovo untore perfetto di questa fase: il solito banale capro espiatorio dei giovani con i loro viaggi, le loro discoteche, gli inevitabili assembramenti. Si assolvono invece i 50-60enni genitori, con i loro viaggi, le loro discoteche, gli inevitabili assembramenti.
A tutti andrebbe ricordato che qualche ulteriore rinuncia adesso, forse, servirà a evitare un rovinoso lockdown dopo. Tutti dovremmo metterci una mano sulla coscienza e non dimenticare quello che abbiamo vissuto, la penitenza dello stare chiusi in casa per mesi, i camion militari carichi di bare, medici e infermieri allo stremo delle forze, città deserte e spettrali, aziende fallite, padri e madri di famiglia finiti senza lavoro per strada. Occorre avere un grande senso di responsabilità e fare chiarezza. Ecco il difficile.