Diciamo la verità, mai come in questo periodo gli italiani sono innamorati dai «camici bianchi». Lo dimostrano sostenendo anche emotivamente il lavoro che gli «angeli delle corsie», insieme con tecnici e infermieri, svolgono nella lotta al perfido coronavirus. E lo confermano persino premiando gli ascolti televisivi di «Doc. Nelle tue mani» in cui Luca Argentero - e non state a dire che il pubblico è tutto femminile... - recita nei panni di un medico in una fiction di Rai1 che si discosta dai soliti medical - così li chiamano Oltreoceano - ai quali ci ha abituati la televisione.
È a maggior ragione per questo motivo che la notizia del medico di base di Calimera, che avrebbe aggredito fisicamente un anziano paziente causandogli persino delle lesioni, stride con l’immagine che tutti ci siamo fatti, almeno fin dai tempi de La cittadella, lo sceneggiato televisivo degli Anni ‘60 in cui un indimenticabile Alberto Lupo indossava i panni dell’umanissimo dottor Manson, partorito dalla penna di Archibald Joseph Cronin.
Diciamocelo chiaramente, se il mestiere del medico non è per niente facile, quello del medico di base, troppo spesso mortificato a ruoli quasi burocratici, lo è ancor meno. Ci vogliono competenze ad ampio raggio, ma anche e soprattutto pazienza e ce ne vuole tanta, specie con i pazienti anziani che sono tra i frequentatori più assidui degli studi medici e che in quel camice bianco cercano non solo le competenze per sopportare i propri acciacchi, ma anche e soprattutto i confidenti, pronti a dispensare consigli medici, farmacologici, e... umani, quasi fossero davanti a dei confessori laici capaci di lenire anche i dolori dello spirito.
E avere a che fare con gli anziani non è facile; non c’è bisogno di essere medici per saperlo. Chiunque abbia una persona anziana in casa lo sa e accetta volentieri la piccola croce delle domande ossessive, delle dimenticanze, di quell’egoncentrismo che non è mai frutto di cattiveria, ma casomai disperato tentativo di attirare l’attenzione su di sé, paura di essere dimenticati o, peggio ancora, lasciati soli. Gli anziani sono fatti così e vanno capiti anche perché, sebbene la cosa sfugga a molti, l’approdo alla loro condizione è una tappa che di massima toccherà a tutti quanti noi e nessuno ci garantisce che, una volta raggiunta quell’età, sapremo affrontarla meglio riuscendo ad essere meno brontoloni, meno «difficili». Un tempo ai bambini veniva fatta leggere a scuola la celebre fiaba dei fratelli Grimm sulla scodella rotta dal nonno e sul nipotino che dà una lezione di vita al padre insofferente. Un insegnamento valido per tutta la vita che troppe volte si tende a dimenticare. Forse perché ormai si legge sempre meno. Le fiabe poi...
Vi chiederete, forse, come mai siamo arrivati fin qui partendo dalla storia di Calimera. La vicenda è eclatante e si giudica da sola: ci sono filmati, testimoni, denunce, lesioni e sarà il magistrato a pronunciarsi. Non possiamo fare a meno però di ricordare che qualche centinaio d’anni prima della nascita di Cristo, in quel giuramento che oggi pronunciano tutti coloro i quali si accostano alla missione (ripetiamolo un’altra volta per favore, MISSIONE) medica, Ippocrate da Kos aveva detto tra l’altro «regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa» e poi ancora «In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario».
Ecco, per quanto possiamo capire che in queste terribili settimane la vita dei medici tutti non sia per niente facile e le pressioni, i nervosismi siano alle stelle, non riusciamo a conciliare le percosse al paziente, anziano pergiunta, con quel giuramento. E ancor meno riusciamo a comprendere il silenzio: foss’anche stato suggerito da un avvocato difensore, non sarebbe più umano, anzi, da uomo, ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa?