Il presidente Conte oggi sarà a Bari per inaugurare l’edizione n. 83 della Fiera del Levante. Un appuntamento che rientra in una tradizione consolidata, sebbene il contesto sia assai mutato. Un tempo l’apertura della Fiera, con il discorso del presidente del Consiglio, segnava anche la ripresa ufficiale dell’attività politica dopo la pausa estiva. Il giorno dell’inaugurazione era come il 1° ottobre della scuola di una volta. Oggi non c’è più una sosta della politica. Meglio, c’è una sosta formale rappresentata dalla sospensione dell’attività parlamentare – quest’anno più breve del solito per le note vicende – ma nella pratica non c’è tregua.
Un continuum come nella vita, del resto. La logica performante della società contemporanea non permette fermate: quell’idea di interruzione, di pausa, di «feria» dedicata all’otium, come l’avevano immaginata gli antichi romani, non ha più diritto di cittadinanza. Occorre lavorare, produrre e soprattutto essere connessi h. 24, senza lasciare un minimo spazio alla possibilità di porsi domande, magari quelle abusate di sapere chi siamo e perché viviamo. Transeat.
Un anticipo di ciò che dirà Conte oggi all’affollata platea è già presente nell’intervista concessa al direttore De Tomaso. Al premier che tanta stima è riuscito a guadagnarsi a Bruxelles, e in un breve lasso di tempo, verrebbe però da chiedergli qualche informazione su una polemica che si sta aprendo in Europa. La neo commissaria Ursula von der Leyen ha deciso di affidare a uno degli otto vicepresidenti, il greco Margaritis Schinas, la delega per la «protezione dello stile di vita europeo». Sostituirà il connazionale Dīmītrīs Avramopoulos e si occuperà anche di immigrazione. La decisione ha già sollevato un polverone, facendo partire accuse di fascismo verso la von der Leyen, ritenuta una lady di ferro e dalle idee piuttosto conservatrici.
Prima di avventurarsi sul terreno della fantapolitica, immaginando chissà quali scenari in materia di immigrazione, è interessante chiedersi che cosa si intende per «stile di vita europeo». A spanne si potrebbe dire che indica quel modello abbastanza laico, improntato a una tradizione liberista, con radici cristiane e caratterizzato dalla presenza di sistemi democratici. Ma è una classificazione piuttosto blanda e perciò inutile. Allora la domanda è se sia davvero possibile definire uno stile di vita europeo.
Se dobbiamo parlare di come la gente vive, da Oslo a S. Maria di Leuca, e non di una tassonomia ideologica, diventa difficile trovare punti identitari, perché alla fine a questo sembra si voglia arrivare: a marcare un’identità comune da tutelare rispetto a ipotetiche «aggressioni» esterne, costituite evidentemente da identità diverse e di cui supponiamo possano essere portatori i migranti.
Sul piano concreto non si riesce a vedere quale sia, per esempio, lo stile di vita comune fra un pugliese e un danese. Il primo è figlio della cultura dell’olio e del vino, l’altro vive nel burro e nella birra. Uno deve proteggersi dalla luce e dal caldo eccessivi: le sue case sono in tufo, con finestre non molto grandi, dipinte di bianco per respingere i raggi solari; l’altro le fa tutte colorate per difendersi dalla monotonia delle giornate grigie e buie, le costruisce in legno per difendersi dal freddo e dall’umidità delle piogge costanti. Uno sa che i suoi antichi padri erano greci e il suo dire è infarcito di parole che richiamano quella lingua; l’altro ha le origini nella cultura vichinga e nei miti di quei popoli. Uno è abituato a vivere all’aperto, è loquace, curioso, pettegolo, organizza poco del suo tempo potendo contare su una fantasia creativa; l’altro è costretto a vivere al coperto per lunga parte dei suoi giorni ed è quindi silenzioso, programma in ogni dettaglio la vita quotidiana ed è introverso, incline alla tristezza.
Entrambi sono gente di mare e nel loro passato hanno subito invasioni, conquiste e dominazioni che li hanno contaminati e oppressi ma anche fatti sviluppare. Ora hanno deciso di convivere in una «comunità» più vasta, in cui hanno in comune solo la moneta, ma dove mancano ancora una lingua e una spada, perché si possa parlare di una comunità autentica. Allora qual è lo stile di vita che devono proteggere? E da che cosa lo devono proteggere?
La risposta può essere solo una: devono continuare a coltivare le loro diversità e a proteggerle dall’omologazione, dall’appiattimento indotto da quella logica asfissiante che ci chiede di essere iperattivi, ma per soli fini produttivi. Da 83 anni alla Fiera del Levante queste diversità s’incontrano e provano a tessere relazioni – non solo economiche – dentro e fuori dal vecchio Continente, per il bene di tutti.
Forse è questo il vero e forse unico stile di vita europeo.