Diciamocelo: un’estate così calda non si era mai vista. Clima da altoforno e crisi di governo alla vigilia di Ferragosto. Tanto che ora si discute su come e quando far rientrare dalle ferie i parlamentari già da giorni in infradito e costume da bagno.
Più di tutti dovrà faticare Mattarella. La chiave per risolvere questa crisi dovrà trovarla lui. Il percorso più probabile appare il voto della sfiducia in Aula, poi la formazione di un governo ponte e, infine, scioglimento delle Camere ed elezioni, verosimilmente per metà-fine ottobre. Il tutto in un clima di polemiche infernali, con una campagna elettorale che non è mai cessata da quando fu indetto il referendum del 4 dicembre 2016.
Quella data segnò la fine di Matteo Renzi da una parte e dall’altra aprì la strada all’exploit dei 5Stelle e al progetto di Salvini. Ma l’interminabile campagna elettorale sta stancando gli italiani, che ormai sempre in minor numero vanno ai seggi. Non è un buon segnale.
Il futuro è un terreno minato. Incombono le clausole di salvaguardia che prevedono l’aumento dell’Iva: per evitarlo Tria o chi per lui dovrà recuperare da qualche parte 23 miliardi. In più bisognerà predisporre una manovra che incontri i favori di Bruxelles: in questo momento non siamo certo nelle condizioni di alzare la voce. Per di più la preconizzata vittoria di Salvini alle prossime elezioni, che ha commesso l’errore di non far votare la commissaria Von der Leyen, non faciliterà i rapporti con l’Europa. Questo clima avverso al Belpaese ostacolerà l’elezione di un italiano a ruolo di commissario e men che mai potrà aspirare a un portafoglio importante. Da battaglia difficile a missione impossibile.
Sul piano interno resta la tenuta dei conti pubblici il principale problema. Già da ieri lo spread è risalito: sono altri miliardi di interessi da pagare a chi acquista i nostri titoli di Stato.
Tra i guai in arrivo c’è il caso dell’ex Ilva di Taranto. Il Governo aveva cancellato, a partire dal 6 settembre, l’immunità penale concessa fino al 2023, inserendo una norma nel decreto crescita (legge 58/2019, art. 46). Di fronte alle minacce di rinuncia del gruppo francese ArcelorMittal e all’avvio della cassa integrazione per 8.400 dipendenti, il ministro Di Maio era intervenuto e alla fine aveva concesso le cosiddette «tutele a scadenza», cioè una sorta di immunità collegata all’avanzamento delle opere di ambientalizzazione e messa in sicurezza dell’acciaieria. Il provvedimento è inserito nel «decreto legge imprese», approvato nel consiglio dei ministri del 6 agosto, ma non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Se quel decreto non verrà convertito in legge - come sembra più che probabile - che succederà a Taranto?
C’è anche un’altra questione che riguarda l’ex Ilva e cioè la revisione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) chiesta dal sindaco Melucci, ben vista dal ministero all’Ambiente e dai 5Stelle, ma impugnata davanti al Tar da ArcelorMittal. Ai tempi della giustizia amministrativa si aggiungerà l’assenza di un interlocutore in grado di affrontare la spinosissima questione, la cui soluzione potrebbe determinare anche la fine della produzione di acciaio in Italia.
Ieri la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha ricordato che mancano ancora le firme di alcuni ministri per far arrivare finalmente nelle tasche degli ulivicoltori la prima parte dei 300 milioni annunciati da tempo nell’ambito degli interventi per combattere la Xylella. Che succede adesso? Il rischio che quei 300 milioni continuino a restare una promessa buona per tener su convegni e comizi è più che reale.
Di promesse da oggi partirà un’altra stagione: assomigliano sempre più ai supersaldi della pubblicità. Dopo reddito di cittadinanza (a proposito, come e da chi sarà rifinanziato?), assunzioni a valanga tra le forze dell’ordine e nella pubblica amministrazione, flat tax per tutti e via di questo passo, che altro potranno metterci sotto il naso? Ma soprattutto a quante e a quali promesse gli italiani sono ancora disposti a credere? Basterà il mito, sapientemente costruito dalla propaganda salviniana in questi mesi confusi e litigiosi, dell’uomo solo al comando?
Gli italiani per ora se ne vanno per qualche giorno al mare o in montagna. Per la prima volta invece ai parlamentari toccherà accontentarsi dell’aria condizionata di Camera e Senato. Con in più il paradosso di dover stare lì per scrivere la parola fine al loro mandato.