Matera, Europa. Matera, Italia. Matera, Mezzogiorno. Nessuna città come Matera ha legato il suo nome alla questione meridionale, non solo perché nasce nei Sassi la spinta degasperiana per il salto del Mezzogiorno a questione nazionale e, come tale, meritevole di una Cassa di Intervento Straordinario, ma perché la Basilicata, per dirla con Gaetano Salvemini (1873-1957), era la regione più infelice e dimenticata d’Italia.
Ah, Salvemini. Cosa avrebbe scritto il sulfureo intellettuale di Molfetta a proposito di Matera capitale europea della cultura? Cosa avrebbe annotato lui che considerava la piccola borghesia intellettuale meridionale un flagello più rovinoso della malaria? E cosa avrebbe detto un altro campione del meridionalismo più analitico, come il melfese Francesco Saverio Nitti (1868-1953), per il quale lo Stato oscillava sempre (anche adesso, ndr), nei confronti del Sud, fra indifferenza e dissipazione? E cosa avrebbe osservato un terzo grande nome del pensiero meridionale liberale, come Giustino Fortunato (1848-1932), originario di Rionero in Vulture, che aveva indicato nel feudalesimo rurale e nella mancata formazione di Comuni fondati da uomini liberi le cause primordiali dell’arretratezza del Mezzogiorno?
Probabilmente i tre assi del meridionalismo più profondo avrebbero convenuto che un evento come Matera 2019 o serve da lievito per la crescita di una borghesia produttiva e anti-parassitaria oppure rimarrà una parentesi utile per le rievocazioni o i revival tv dei decenni successivi.
Don Luigi Sturzo (1871-1959) sollecitava cautela prima di adoperare il termine borghesia. «Non si può continuare - spiegava nel 1954 - nel sistema di additare la categoria dei produttori liberi come classe sfruttatrice, eccitando gli odi, esaltando la conquista politica del proletariato, come conquista della futura classe dominatrice o unica».
Ma il Mezzogiorno non si è giovato assai della categoria dei produttori liberi agognata da Sturzo, di conseguenza il termine borghesia ha richiamato spesso, nelle nostre parti, quelle pratiche opache, quel malcostume endemico contro cui non si è risparmiato il Gotha del meridionalismo, a iniziare proprio dai pensatori sopra citati.
In fondo in cosa consiste la questione meridionale se non nel deficit strutturale di quella borghesia ora colta ora produttiva capace di trasformarsi in classe dirigente e non già in classe dominante, com’è invece nelle aspirazioni, e nei comportamenti, dei gruppi familistico-clientelari e politico-parassitari?
La piccola borghesia intellettuale meridionale costituisce il bersaglio continuo dell’instancabile Salvemini. Nel suo recinto, denuncia lo storico pugliese, confluiscono «tutti quegli spostati che non avendo nulla da fare possono dedicare tutto il loro tempo alla vita pubblica, finendo per diventare professionisti della politica, e della politica peggiore». Incalza ancora Salvemini: «Sapete, per esempio, di cosa discutono oggi (1911), per cosa si agitano, parecchi intellettuali della Basilicata? Di rimboschimenti? Di bonifiche? Di sistemi tributari e doganali? Di scuole? Oibò. Questi animali si agitano affinchè il nome della Basilicata sia sostituito con quello di Lucania. E coprono di insolenze un uomo come Giustino Fortunato, perché li trattati, come si meritavano, da ragazzacci».
È impietosa la fotografia della piccola borghesia intellettuale meridionale scattata dall’intransigente Salvemini: «Per i loro componenti il merito consiste nell’avere un protettore potente. Sarebbero capaci di presentarsi in ginocchio innanzi a un possibile patrono, strisciando lingua per terra... Con una classe così fatta le pubbliche amministrazioni sono tutte al servizio delle clientele e delle fazioni. La sola domanda che il piccolo borghese intellettuale e affamato si propone nell’atto di votare è “Il mio candidato è in grado di procurarmi l’impiego?”».
Salvemini va giù come un carro armato contro il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti (1842-1928), dipinto come «ministro della malavita» e «piemontese senza scrupoli», e paragona l’azione del Settentrione nei confronti del Meridione a quella di uno «Stato estero» ostile. Ma, aggiunge, le responsabilità dei piemontesi «non ci devono far dimenticare che la prima radice del male è proprio nell’Italia meridionale e si chiama piccola borghesia intellettuale».
È cambiato lo scenario rispetto a più di un secolo fa, quando Salvemini scoperchiava, alla sua maniera, le colpe e i peccati di una classe sociale del Sud? Per fortuna è cresciuto il Pil, grazie anche all’Intervento Straordinario voluto da Alcide De Gasperi (1881-1954). Ma quella borghesia di produttori e pensatori liberi cara a Sturzo e Salvemini rimane tuttora un fantasma o, per altri versi, una pia illusione.
Ora. La cultura è la premessa per ogni crescita, materiale e immateriale. La cultura è la precondizione di ogni progresso civile. Senza cultura la stesso ombrello terminologico di società civile servirebbe solo a nascondere la sagoma reale scomposta di una società incivile.
Matera 2019 è un contenitore di mille iniziative, è una vetrina su una città e su una regione smaniose di rafforzare il loro legame con l’Europa. Matera 2019 è già una calamita, un elemento di irresistibile attrazione per tutti coloro che non concepiscono il Mezzogiorno soltanto come approdo impareggiabile di vacanze sotto i raggi del sole..
Ma non basta. Se la cultura, a cominciare da manifestazioni topiche come quella inaugurata ieri, non riesce a fare altro, e soprattutto a dare la scossa a un territorio per spingerlo verso il traguardo della maturità produttiva, dell’autopromozione sociale e della selezione di una classe dirigente degna di lasciare una traccia positiva, ecco se la cultura non riesce a raggiungere questo obiettivo, significa che non è stata e non è cultura, ma solo un suo succedaneo, una sua sottospecie spuria contrabbandata per originale.
Matera 2019 è un mega-evento meridionalistico, forse il più importante di sempre. Ecco perché ha il dovere di lasciare il suo imprinting sul futuro, affrontando il problema dei problemi: il battesimo di quella buona borghesia produttiva e intellettuale invocata, come una Madonna laica, dai classici della nostra storia. Programma vasto e ambizioso? Può essere. Ma, in caso contrario, Matera 2019 rimarrà solo negli archivi di cronaca. E Matera 2020 sarà amara.