Di una stagione così carica di morti e tragedie ne avremmo fatto volentieri a meno. In altri tempi qualcuno si sarebbe messo a cercare lo iettatore e magari l’avrebbe pure trovato. L’esplosione in autostrada, il ponte di Genova crollato, i morti nel Parco del Pollino, per non parlare dei violenti nubifragi e delle scosse di terremoto. A questo Paese baciato dalla sfiga servirebbero cornetti e ferri di cavallo della misura di Polifemo. Anche se rifugiarsi nella superstizione non aiuta a capire che cosa accade né di chi siano le responsabilità.
Eppure il Paese di guai già ne aveva: la manovra, i migranti, l’Ilva, solo per citare quelli più divisivi all’interno della maggioranza di governo.
E sono ancora tutti lì, con l’esplosione della questione migranti, che se fa volare Salvini nei sondaggi, porta pure l’Italia su una strada che non si sa dove arrivi. Le maleparole intercorse fra il presidente della Camera, Roberto Fico, e il ministro nonché vicepresidente del Consiglio non sono una lezione di buona politica. Sono come due genitori che litigano davanti ai figli: che rispetto potranno sperare di avere in futuro?
Demolire il senso delle istituzioni è un gioco pericoloso che può fare solo male. Non a caso il nostro ordinamento tutela in maniera particolare il Capo dello Stato o un «Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o una sua rappresentanza, o una Autorità costituita in collegio» quando le parole si trasformano in offese. In questi giorni siamo sommersi da parole inappropriate pronunciate da chi forse dovrebbe sperimentare le virtù terapeutiche del silenzio.
Non si sa se tutta questa violenza polemica sia solo ideologica o non serva a nascondere l’incapacità di risolvere questioni importanti. A Taranto - ma non solo là - non hanno ancora capito che fine farà l’Ilva. Sembra di vivere in una situazione surreale con il ministro Di Maio che parla di «delitto perfetto» (a proposito di parole inappropriate) per indicare che la vendita del siderurgico presenta anomalie ma che non si può annullare. Ma dopo 24 ore fa un passo indietro e dice che l’annullamento della gara non è questione chiusa. Che vuol dire? Non si può giocare con il destino di 14mila operai e con il futuro di un’azienda rilevante per l’intero sistema produttivo nazionale. Certo, è difficile tradurre in realtà le (avventate) promesse fatte in campagna elettorale. Perché quando sei nella stanza dei bottoni la realtà cambia. È come guardare il mondo da un aereo invece che stando per terra.
L’Ilva è una questione maledettamente seria e che a Genova diventa una tragedia nella tragedia. L’impianto si trova a dover fare i conti anche con la viabilità disastrata dopo il crollo del ponte Morandi. Già il ponte. Non bastava il suo carico di morti innocenti. Ha fatto scoperchiare anche un’altra questione inestricabile: le privatizzazioni, come se non ci fossero già abbastanza punti di disaccordo a tenere unita questa singolare maggioranza fondata solo se stessa.
Alla gente comune importa poco se le autostrade devono avere una proprietà pubblica o privata: l’importante è che siano ben tenute e sicure. È la saggezza popolare anche di un vecchio timoniere come Mao Tse Tung: non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che prenda i topi.
Invece, anche nel caso del ponte si parla a sproposito. Anzi si danno i numeri: il ponte sarà ricostruito in 6 mesi fu detto all’indomani della tragedia. Ponte in 8 mesi, corresse opportunamente il presidente della Regione Liguria che ieri però ha annunciato che solo per rimuovere le macerie del preventivato abbattimento totale occorrerà un anno. E per rifarlo chissà quanto, tenendo conto degli immancabili ricorsi: dal Tar fino all’Onu.
Quel ponte è troppo importante per Genova, per la sua identità e per i traffici del suo porto. Per rifarlo occorrono tempo e competenze. Eppoi: come rifarlo? Dove rifarlo? Alla luce del traffico che si è sviluppato, quante corsie dovrà avere? Ancora, una questione sottovalutata, ma che pure ha la sua importanza: quel ponte che ha segnato l’esistenza di centinaia di migliaia di persone per 50 anni va completamente cancellato? D’un tratto come non fosse mai esistito? Non è solo dare un colpo di spugna al volto della città, di cui nel bene e nel male era diventato uno dei simboli, ma è anche cancellare i ricordi, i sentimenti, il vissuto che vi era legato. A chi ha perso una persona cara, la casa con tutto quello che significa, si vuole togliere anche questo ricordo?
Negli altri Paesi in questi casi si apre un dibattito pubblico (una volta tanto la Rete potrebbe avere la sua importanza) perché non si può fare violenza a chi una terribile violenza l’ha già subita.
Sì è vero, è proprio un’estate sfigata