Martedì 09 Settembre 2025 | 00:06

Medimex, c’è Don Letts: «Il punk? Non è morto»

 
Carmen Palma

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Carmen Palma

Medimex, c’è Don Letts: «Il punk? Non è morto»

È atteso a Taranto per un dj-set (il 20 giugno allo Spazioporto) e il 21 giugno in talk all’Università con Michele Riondino, Ghemon, Anna Castiglia e Diodato

Venerdì 13 Giugno 2025, 11:22

Il punk è morto, il punk è vivo, lunga vita al punk. Per Don Letts non c’è bisogno di discuterne: il punk non è si è mai estinto, semmai si è evoluto. E lo sa bene lui, che come disc jockey prima e regista poi ha attraversato il fermento culturale della Gran Bretagna degli anni 70, anzi, lo ha incarnato, finendo addirittura raffigurato sulla copertina Black Market Clash dei Clash. Lo stesso Joe Strummer fu influenzato dalle contaminazioni musicali nei suoi set, dal suo mischiare il reggae e la dub al rock punk. «Ma basta guardare il passato, il punk è materia viva e attuale», dice alla Gazzetta Letts, 69 anni, che la prossima settimana sarà al Medimex di Taranto. «Credo di essereci già stato, non ricordo, la mia mente gioca brutti scherzi ultimamente»...

Il 21 giugno parteciperà a un panel da un titolo a dir poco evocativo, «La musica salverà il mondo?». Sarà così?

«Senza dubbio l’arte in generale svolge un ruolo fondamentale, riflette i tempi che corrono e può facilitare la lotta. Ma per risolvere i problemi serve l’azione diretta. Cantare una canzone non è abbastanza: i tempi sono troppo oscuri.»

C’è un lavoro di cui è particolarmente orgoglioso?

«Ce ne sono tanti. La prima che mi viene in mente è un documentario del 2005, Punk Attitude, l’ho realizzato perché ero stanco delle persone che non capiscono che il punk ci spinge a guardare avanti, non indietro. Sono anche molto orgoglioso di Dancehall Queen, girato in Giamaica. È diventato un cult nella comunità della diaspora, parla della mia identità e delle mie radici, lo amo molto. E poi il videoclip di Pass The Dutchie dei Musical Youth, il primo di un artista nero trasmesso su Mtv.»

Lei è stato vicino a icone della musica come Bob Marley. La lista è lunghissima. Ha imparato qualcosa da loro?

«Sì: mai conoscere dal vivo i propri miti. O meglio ancora, non mitizzare nessuno.»

E c’è qualche artista italiano che apprezza particolarmente?

«Il primo che mi viene in mente è Federico Fellini. L’ho conosciuto, mi disse che avevo “la visione di un terrorista”. All’epoca credevo fosse un complimento, oggi non saprei...[ride, ndr]. Un altro artista che apprezzo particolarmente è Adriano Celentano. So che si è ritirato, ma adorerei girare un documentario su di lui. Celentano è un vero punk.»

Lei hai girato un documentario su Gil Scott-Heron, «The Revolution will not be televised». In un mondo in cui i social media raccontano la realtà, in cui palestinesi possono far sentire la propria voce e tutti assistono in diretta al genocidio di Gaza, questo slogan è ancora attuale?

«Di certo da allora la situazione è cambiata. E lei ha ragione quando prende l’esempio dei palestinesi, i social possono fare una cosa fantastica e la stanno facendo già: dare voce a un popolo. Ma dipende solo dall’uso che noi ne facciamo: lo scrolling, per noi che siamo lontani, è facile del resto...».

Don Letts è atteso al Medimex per un djset (il 20 giugno allo Spazioporto) e il 21 giugno in talk all’Università con Michele Riondino, Ghemon, Anna Castiglia e Diodato.

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