Resistenza, resilienza, perseveranza. Così si può tradurre la parola araba «Sumud», che dà il titolo al nuovo brano del rapper, autore e docente di filosofia e storia Murubutu (Alessio Mariani). Un brano per Gaza il cui intero ricavato sarà devoluto alla missione della Global Sumud Flotilla, l’iniziativa per portare aiuti umanitari via mare alla popolazione palestinese, rompendo il blocco imposto da Israele. Un’altra azione concreta di Murubutu, tra le voci più originali della scena italiana, che domani 6 settembre sarà a Locorotondo per il PensieriCorrenti Festival con una tappa del suo «La vita segreta Festival Tour», che prende il nome dall’ultimo album La vita segreta delle città.
Un disco che racconta luoghi reali e immaginari...
«È uno stratagemma narrativo, mi piace costruire concept album con elementi naturali, la notte, il mare, l’aria. Stavolta ho scelto la città per riflettere sulle dinamiche urbane, sono fucine di storie, ho inserito l’elemento architettonico una prospettiva di realismo magico, in cui la città diventa organismo senziente».
Infatti cita Dublino, Parigi, Palermo, New York e molte altre: ce n’è una che sente particolarmente vicina?
«Quella che mi ha dato di più, anche se non ci vivo, è Bologna: è avanti sulle avanguardie artistiche e le contaminazioni culturali. Mentre nel mondo ho nel cuore L’Avana, anche se non sta vivendo un buon periodo».
La città è spesso sinonimo di solitudine, ma anche di possibilità: come ha bilanciato questi due poli?
«È un mondo di contraddizioni, lusso e povertà che si avvicendano in uno stesso contesto metropolitano, nelle grandi città spesso c’è questa dialettica tra prospettive di sviluppo e spopolamento dei paesi, contrasto tra aspirazioni e attaccamento alle radici. Si raccontano così, nei loro contrasti».
Sul palco cosa vedremo? Sappiamo che è accompagnato da una band nata in collaborazione con lo Sghetto Club di Bologna...
«È uno spettacolo che definirei croccante: la band è composta da professionisti dal punto di vista musicale, sicuramente più di me. Tocchiamo tante corde diverse, musica black, soul, blues, jazz, reggae, tutto è contenitore del mio rap, cerchiamo di abbracciare l’intero panorama urban».
Il suo rap viene definito «didattico»: crede che oggi la musica possa essere ancora uno strumento di formazione e consapevolezza?
«Ha un altissimo potere di comunicazione, anche con i nuovi mezzi, con i social, può raggiungere i giovanissimi. L’intento c’è, quello di stimolare il pensiero critico, è lo stesso motivo per cui è nata “Sumud”, parlare di questi assetti geopolitici e rispondere a ciò che sta succedendo».
Cosa la aspetta adesso?
«Faremo qualcosa in Europa, e cercherò sempre di bilanciare ricadute didattiche e buona musica». Bia.Chir.