BARI - Sostituire i fossili. Decarbonizzare. Produrre energia dal sole e dal vento. Facile a dirsi. Il percorso è molto più complesso e lungo, nonostante il pianeta soffra, nonostante il timer del 2030 fissato dall’Unione europea.
Non c’è solo la sindrome Nimby a frenare l’anelito green. Non è solo perché gli italiani non vogliono praticamente nulla «nel loro giardino» (o nel loro mare). C’è piuttosto l’enorme scoglio della burocrazia, la solita maledetta piaga del Paese. Eppure la partita in gioco è epocale. Una mole di investimenti favolosa, innanzitutto, e l’occasione straordinaria di invertire l’inesorabile declino del pianeta Terra.
Tema affascinante, la sostituzione dei fossili, sul piano dell’innovazione, della ricerca, dell’occupazione e perché no della governance di un processo così vasto. Ne abbiamo parlato nella redazione barese della Gazzetta del Mezzogiorno con Fulvio Mamone Capria, presidente di Assoaero (l’associazione delle imprese delle energie rinnovabili offshore), Ilaria Giannoccaro, professoressa ordinaria di Ingegneria Economico Gestionale al Politecnico di Bari e Fabio Tambone, vicedirettore delle Relazioni esterne e istituzionali dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera). A dialogare con loro, il vicedirettore della Gazzetta Mimmo Mazza.
Percorso lungo, quello della decarbonizzazione. Nel frattempo, però, «deve cambiare la percezione delle comunità rispetto a questi interventi che sono l’unica strada verso la transizione ecologica», spiega Mamone Capria di Assoaero, l’associazione fondata nel maggio scorso da 13 grandi aziende (Acciona Energia, Agnes, BayWa r.e. Progetti, BlueFloat Energy, Fred Olsen Renewables, Galileo, Gruppo Hope, Isla, M.S.C. Sicilia, Renantis, Repower Wind Offshore, Saipem e Tozzi Green). «C’è anche un problema di comunicazione - annota Mamone Capria - Molti temono l’impatto di questi impianti sul territorio. Ecco perché sull’eolico offshore dobbiamo dire di più, dobbiamo spiegare perché parliamo di grandi pali, alti fino a 260 metri. Sono dunque ben visibili e vanno inseriti in scenari particolari. Nello stesso mare dove è normale invece osservare il transito di grandi navi cariche di petrolio o carbone. L’eolico va fatto nei luoghi che lo consentano, sapendo che i pali vanno installati su basi fluttuanti ancorate ai fondali. Per fare tutto questo le aziende si sono affidate ai biologi marini per posizionare tutto nel modo migliore».
Mamone Capria ricorda come il Mediterraneo sia stato massivamente sfruttato, fino all’estinzione di intere specie marine. L’eolico consente invece di ricostituire aree protette, «significa ristabilire un habitat». Si tratta, in altre parole, di dare risposte sociali a territori che non hanno ancora ben chiaro il futuro. L’esempio dell’ex Ilva a Taranto è calzante: una comunità che attende riconversione, che ha diritto alla speranza. «Perché noi consumiamo energia, c’è poco da fare. Troviamo il modo allora - dice ancora il presidente di Assoaero - di non andare oltre quel grado e mezzo di temperatura in più i cui effetti sul pianeta sono già sotto i nostri occhi. E non perché ce lo impone la legge ma perché abbiamo davanti il futuro. Un’industria tecnologicamente avanzata ci aiuterà».
Ci viene incontro Ilaria Giannoccaro, confermando l’impegno accademico. «Abbiamo inaugurato un nuovo corso di laurea magistrale in Ingegneria Energetica - dice - Il PoliBa si prepara a formare nuove figure professionali, a creare nuove competenze che dovranno gestire questi processi, anche tenendo conto degli inevitabili risvolti sociali». Nuove figure professionali, a cominciare dall’innovativo Manager dell’economia circolare. Giannoccaro ricorda oltretutto il progetto finanziato nell’ambito del Pnrr e coordinato dal Politecnico barese, NEST (Network 4 Energy Sustainable Transition) tra le 14 proposte selezionate dal ministero dell’Università e della Ricerca per accedere alla fase finale del bando «Partenariati estesi - Scenari Energetici del Futuro».
Futuro è una parola chiave del nostro incontro. Fabio Tambone si proietta verso il 2030. «Va cambiata la visione produttiva. La sostituzione delle fonti fossili non è solo un obiettivo, è anche l’ambizione del Sud a potenziare il proprio sistema produttivo
produttivo, e quindi aumentare la domanda di energia (in termini tecnici carico) per accogliere una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili, gravando il meno possibile sulle reti nazionali», teorizza Tambone. Un «nuovo paradigma industriale al Sud», sintetizza Mimmo Mazza
Un paradigma basato sull’economia circolare, aggiunge Giannoccaro perché una delle nostre spine non è solo la riduzione dei consumi ma anche la salvaguardia delle risorse da consumare. E un Sud che ha bisogno di ribaltare molte narrazioni, Giannoccaro ad esempio spiega che nei business plan delle aziende, anche quelle specializzate nella produzione di energia rinnovabile, pesa l’incertezza figlia delle autorizzazioni e dei tempi. Ed ecco che nel nostro dialogo irrompe prepotentemente il tema della burocrazia.
Ma andiamo...