TARANTO - I Segretari generali di Fiom, Fim e Uilm vanno via dal Ministero dello Sviluppo Economico con le stesse incertezze e preoccupazioni sul futuro dell’ex Ilva di Taranto con cui erano entrati, dopo la soppressione – dal decreto salva-imprese – delle tutele legali per l’attuazione del Piano ambientale che sta realizzando il gestore dell’impianto siderurgico, Arcelor Mittal. Non sono bastate le rassicurazioni del padrone di casa, il Ministro Stefano Patuanelli e del Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano. Restano infatti i timori sul possibile abbandono di Taranto da parte della multinazionale dell’acciaio o della chiusura dell’area a caldo, vista anche la scelta del nuovo Presidente e Ad di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, nota per aver gestito pesanti ristrutturazioni aziendali.
Il ministro Patuanelli, che martedì scorso ha incontrato la Morselli, spiega che «l’azienda ha parlato di una difficoltà del ciclo produttivo, legata alla contingenza del mercato, in cui i dazi non aiutano, e non ha posto il problema dell’immunità» e si dice «convinto che non c'è una incidenza diretta tra il decreto crisi e la situazione di Taranto». Sullo scudo, esclude una norma ad hoc per l’Ilva «ma una di più ampio respiro potrà essere presa in considerazione – chiarisce – se ci fossero dubbi di interpretazione che non riguardino solo Taranto, ma l’applicazione del dispositivo». Ragione per cui il governo, ai metalmeccanici che gli chiedono di farsi garante del rispetto degli accordi sottoscritti con l’azienda il 6 settembre 2018, assicura che nel nuovo confronto che ci dovrebbe essere con Mittal la seconda settimana di novembre, «chiederemo all’azienda di continuare a garantire il rispetto degli accordi del contratto, del piano industriale e soprattutto di quello ambientale». Insomma, per Patuanelli non è in discussione «la continuità produttiva del sito di Taranto, perché – sostiene – non esiste un’idea di piano industriale del Paese senza la siderurgia». Infine annuncia un «intervento organico» per dare risposte alle crisi che «spesso sono crisi di mercato», il cui primo passo è stato il decreto salva imprese.
Al tavolo i sindacati hanno chiesto che non fosse presente la delegazione del M5s che voleva partecipare, visto che proprio l’ex Ministro Lezzi è stata la prima firmataria dell’emendamento che ha cancellato lo scudo. Il Ministro per il Sud conferma che anche senza l’immunità «una tutela c’è»: l’articolo 51 del codice penale, quindi «chiunque agisce nell’adempimento di un dovere come per il piano ambientale, non è punibile, tantomeno per colpe di altri ed errori commessi in precedenza». Un punto contestato dal leader della Fim-Cisl Marco Bentivogli che dice «basta ai rimpalli ed ai pasticci sull’immunità, che è un ottimo alibi per fare andare via l’azienda senza vincoli e per dimezzare la produzione e l’occupazione. Abbiamo spiegato che l’art.51 dal 2012, data del sequestro, al 2015, quando è stato introdotto lo scudo penale – prosegue il sindacalista – non ha impedito di indagare su figure come il Commissario Ferrante fino a impiegati di settimo livello». Ecco perché il segretario della Uilm, Rocco Palombella, vuole sapere cosa succederà dopo il 3 novembre «quando la soppressione delle tutele legali avranno effetto». Ed entrambi, insieme alla segretaria della Fiom-Cgil, Francesca Re David, ribadiscono che è Mittal ad aver violato l’accordo di settembre sia dal punto di vista produttivo, che da quello occupazionale, con il ricorso alla cassa integrazione, da luglio, per 1400 lavoratori.