Dopo diversi rallentamenti e qualche difficoltà, il viaggio dell'ergastolo ostativo è giunto al capolinea. La Corte costituzionale, con un comunicato stampa del 15 aprile scorso, ha dichiarato illegittime le norme che precludono al condannato di particolari gravi delitti ogni possibilità di liberazione condizionale, salvo il caso di utile collaborazione con la giustizia.
La questione, in realtà, era balzata agli onori della cronaca già nell'estate del 2019, l'indomani della nota e discussa sentenza Viola c. Italia, con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva condannato il nostro Paese, sancendo l'incompatibilità dell’ergastolo ostativo con l'art. 3 della Convenzione, sotto il profilo della violazione della dignità umana.
Ebbene, a quasi due anni di distanza, indiscutibile si mostra la portata storica del provvedimento emesso dalla Consulta, che peraltro riguarda una vicenda particolare, sovrapponibile a quella oggetto della sentenza Viola, atteso che anche in tal caso il richiedente è un detenuto condannato per delitti di mafia.
Sul punto, tuttavia, sembra opportuno sgombrare il campo da un duplice pericoloso equivoco di fondo, al fine di provare a disinnescare le roventi polemiche scoppiate a seguito della diffusione del comunicato stampa.
Anzitutto, la decisione non riguarda l'ergastolo comune, che resta legittimo; al contrario, ad essere incompatibile con la Costituzione è quel particolare regime – presente solo nell'ordinamento italiano –, che preclude, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere alla liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro.
Ciò posto, giova evidenziare che la dichiarazione di incompatibilità dell'ergastolo ostativo con la Costituzione non avrà effetti immediati. La Corte, invero, ha utilizzato la tecnica del rinvio, già sperimentata in passato nel noto “caso Cappato”, in merito alla illegittimità dell'aiuto al suicidio, rimandando la decisione a maggio del 2022, affinché il Parlamento, entro quella data, apporti le modifiche legislative richieste, tenendo conto della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità mafiosa, e delle relative regole penitenziarie. La Consulta, in buona sostanza, si è mossa con cautela, pronunciandosi su un argomento di forte impatto sociale, rilevando – a chiare lettere – che una sentenza immediata di incostituzionalità avrebbe potuto influire in modo inadeguato sull'attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata.
In tale prospettiva, dunque, sembra lecito augurarsi l'avvio di un processo di riforma generale dei meccanismi processuali, orientato alla emanazione di una disciplina che consenta alla magistratura di sorveglianza di esaminare, caso per caso, le domande di liberazione condizionale presentate dai detenuti ostativi, seppur a seguito di espiazione in carcere di almeno ventisei anni di pena, come previsto dalla legge. Su tale presupposto, peraltro, anche la Corte europea aveva già richiesto l'intervento del legislatore italiano, volto a riformare una disciplina troppo restrittiva, che finisce per comprimere il “diritto alla speranza” del detenuto, limitando eccessivamente la possibilità per quest'ultimo di domandare il riesame della pena, rendendola di fatto un “ergastolo senza fine”.
In questo senso, anche in base ai dati di esperienza, è stato osservato come la collaborazione con la giustizia non necessariamente sia sintomo di credibile ravvedimento, attesi i vantaggi che la legge vi connette; così come, la scelta di non collaborare possa derivare da ragioni che esulano dal mantenimento dei legami con le associazioni criminali, come ad esempio nei casi, non certo rari, in cui il detenuto decida di restare in silenzio per il timore di mettere in pericolo sé stesso e la sua famiglia.
Ecco allora che, dopo anni di diatribe sul tema, la Corte costituzionale è giunta a delineare la strada maestra che il legislatore dovrà percorrere, nel perseguimento di un intervento riformatore finalizzato all'individuazione di ulteriori possibili strumenti che possano accompagnare l'eliminazione della collaborazione quale unica via per accedere alla liberazione condizionale.
La Costituzione resta il faro verso cui orientarsi per compiere scelte così importanti, anche nell'ambito della lotta alla mafia.
Fuor di dubbio, un chiaro passo in avanti nel segno della civiltà che contraddistingue uno Stato di diritto.